In memoria di Sandrine

In seguito alla drammatica morte di Sandrine Bakayoko, la ragazza ivoriana deceduta una manciata di settimane fa in circostanze a dir poco anomale all’interno dell’ex base militare “Silvestri” di Conetta di Cona, nel veneziano, Roberto Saviano ha pensato bene di propinarci l’ennesima delle sue melense pappardelle, immortalata ad imperitura memoria sui profili social dello scrittore napoletano. Ça va sans dire, il Silvio Pellico dei poveri ha subitaneamente trovato dell’ottima compagnia, diversi altri accademici del fondamentalismo progressista non hanno infatti voluto lasciarsi sfuggire l’occasione occorsa per incrementare la propria audience, rendendo pubblicamente omaggio al ricordo della povera donna. Volendo per un attimo soffermarci sulla caratura etica ed intellettuale dei nostri supereroi, non potremmo fare a meno di constatare quanto nessuno di essi si sia minimamente interrogato in merito all’opportunità di un tale sciacallaggio mediatico, mestando nel torbido di una profonda tragedia individuale senza mostrare remora alcuna, rendendosi così per l’ennesima volta protagonisti di una tenuta a dir poco deprecabile. Queste operazioni propagandistiche messe in atto dagli illustri esponenti del progressismo illuminato sono risultate tanto più disgustose nel momento in cui hanno esercitato una violentissima carica ideologica, strumentalmente celata dalla trita e strappalacrime retorica dell’accoglienza a tutti i costi.

La ragazza in questione, stando alle cronache, arrivò a raggiungere il nord est partendo dalla Costa d’Avorio insieme ad altri connazionali. Anche lei si sarebbe avvalsa della join venture transnazionale che inizialmente raggruppa i disperati di tutta l’Africa per smistarli poi tra Libia, Egitto, Algeria e Marocco ed alla fine traghettarli a bordo dei celeberrimi barconi della speranza fino alla “Fortezza Europa”. Carichi di sogni ed aspettative, una volta messo piede a Cadice, Ibiza, Creta, Lampedusa, o Kos questi individui si trovano purtroppo a sbattere il grugno contro la dura realtà. L’Eldorado da loro immaginato o a loro promesso, molto semplicemente, non c’è, non esiste. Quella europea, ed in particolare quella orbitante nell’Europa meridionale, è oggi una comunità di popoli in grave difficoltà, benessere e ricchezza sembrano latitare tra i meandri delle classi medie ed un tasso di povertà sempre maggiore sta voracemente divorandone il tessuto sociale, composto da famiglie e lavoratori. I principali indicatori economici attestano insomma che il vecchio continente non se la stia propriamente spassando. Il sogno di Sandrine, che nel Paese d’origine lavorava come parrucchiera, era quello di aprire un salone qui in Italia e dare avvio ad un’attività professionale attraverso la quale costruire un futuro migliore per sé e per la sua famiglia. Un’aspirazione più che lecita, accidenti, chi potrebbe avere qualcosa da eccepire nei confronti di uomo od una donna desiderosi di tentar fortuna lontano da casa? Soprattutto nel caso in cui la propria terra d’origine non presenti delle condizioni di  sostentamento particolarmente floride. E qui, signori, casca l’asino. Qual è il cervellotico processo per il quale il cittadino di una delle nazioni africane a più forte crescita economica si sottoponga a tali e tante peripezie per raggiungere un’altra parte del pianeta? Posto che ad un certo punto in una determinata zona dell’Africa qualcuno arrivi a decidere coscientemente di lasciare tutto, casa, famiglia ed affetti per cercare delle migliori condizioni di vita in un altro angolo della terra, perché sottoporsi ad una tale tortura? È sufficiente una breve ricerca in rete per scoprire che un volo da Abidjan verso una qualsiasi capitale europea si attesti mediamente su una quotazione che oscilla tra i 500,00 ed i 1.000,00 €. Per quale diabolica motivazione allora si dovrebbe, al fine di coprire la stessa distanza e raggiungere la medesima destinazione, preferire sottoporsi ad un viaggio estenuante, consegnarsi alle grinfie di spietati aguzzini, spesso subire violenza, in definitiva, senza esagerare, rischiare la vita? A fronte oltretutto di una spesa che risulterebbe a volte essere fino a dieci volte superiore rispetto all’acquisto di un biglietto aereo! Qualcosa non torna. E che dire poi di quanto accade a queste persone una volta giunte nei paradisi tanto agognati? Sono poche le strade che si pongono loro innanzi: bivaccare a tempo indeterminato nelle strutture di accoglienza istituite in un batter di ciglia al solo scopo di oleare a puntino i meccanismi che andranno ad ingrassare cooperative solidali politicizzate ed amministratori locali corrotti fino al midollo, incontrando tra l’altro condizioni di ospitalità spesso indecorose, trovare un’occupazione sottopagata ai limite dell’inverosimile oppure infoltire le fila della microcriminalità del luogo.

Chiunque di noi volesse emigrare in Francia, negli USA o in Argentina, una volta raggiunta la meta prescelta come prima cosa cercherebbe un lavoro, qualcosa da fare – qualora non si fosse già mosso in tal senso prima della partenza -, e se non dovesse riuscirci, certo non si aspetterebbe che le maggiori istituzioni del posto si prodighino sudando sette camicie e versando anche parecchi denari per offrirgli una sistemazione gratuita senza alcun apparente limite temporale. Sarebbe, evidentemente, un atteggiamento folle, irresponsabile ed autolesionista. Eppure è proprio quanto accade in Italia ed in molti altri paesi dell’Unione. Una fitta conventicola di organizzazioni non governative, associazioni umanitarie ed organismi istituzionali sovranazionali – i quali peraltro assolvono funzioni legislative senza alcun tipo di legittimazione elettiva – sono riusciti a mettere in piedi una ramificata rete importa-“migranti”, sviluppatasi su proporzioni talmente abnormi da essere in grado di produrre in uno schiocco di dita il cambiamento dei connotati etnicodemografici di regioni intere. Neanche a dirlo, lo spauracchio della guerra agitato per legittimare il fenomeno in corso e presentare i nuovi arrivati come delle vittime innocenti in cerca di salvezza, si verifica poi veritiero e degno di attendibilità solo nella stragrande minoranza dei casi. E la Chiesa Cattolica, nella figura del Vicario di Cristo, se un tempo neanche troppo lontano si opponeva gagliardamente alle derive ideologicototalitarie che attanagliavano l’Occidente, oggi sembra costituire la testa di ponte attraverso cui consegnare l’Italia alla bestia mondializzatrice che sta fagocitando cultura, tradizioni, spirito ed identità del nostro Paese.

La grande immigrazione di massa che sta caratterizzando gli ultimi decenni ha tutta l’aria di essere stata pianificata, allo scopo di sconvolgere gli equilibri socioeconomici ma anche antropologicoculturali della nostra parte di mondo.

Questo è un sistema che definire esiziale sarebbe un eufemismo, i Governi nazionali e la Commissione Europea meriterebbero di essere sottoposti al giudizio di un organo giurisdizionale appositamente istituito che sia lontano dalle logiche e dagli interessi euroatlantici. Dovrebbero finire sul banco degli imputati per via della loro connivenza con le organizzazioni criminali indigene ed allogene che dal cuore dell’Africa subsahariana all’Europa continentale danno vita ad una complessa struttura delinquenziale che comprende il traffico di esseri umani, il favoreggiamento della prostituzione, lo sfruttamento minorile e Dio solo sa cos’altro. Questo scempio deve terminare, deve terminare affinché le garanzie dei lavoratori europei non vengano erose più di quanto sia già stato fatto, deve terminare per far sì che l’Africa possa finalmente intraprendere un processo che la porti ad essere un continente forte, sovrano, decolonizzato. Lo dobbiamo alle migliaia di cadaveri disseminati sul fondo del Mediterraneo, lo dobbiamo alle famiglie ed ai cittadini europei ridotti alla fame da una concorrenza inavvicinabile, lo dobbiamo alle vittime della corruzione, lo dobbiamo a Sandrine.

GRV