Poco più di un mese fa Boško Obradović, Presidente di Dveri, movimento politico serbo di chiara ispirazione conservatrice e nazionalista, ha tenuto un particolare intervento presso l’Assemblea nazionale del Paese slavo. All’ordine del giorno era prevista una discussione circa lo stato di salute delle comunità LGBT in Serbia e le relative rivendicazioni in sede politica ed istituzionale. Il discorso, la cui traduzione è stata integralmente riportata dal quotidiano on line “La Croce” il 28 Ottobre scorso [1], è stato un vero e proprio proclama di denuncia contro le modalità di movimento a dir poco intimidatorie che l’attivismo gay è riuscito a sviluppare in Occidente. Ad un certo punto della dissertazione Obradović dirà: «La vostra ideologia dell’omosessualismo è un’ideologia totalitaria, che ci nega il diritto di pensare e di parlare in modo non conforme ad essa». Più avanti, arrivando a domandare retoricamente quali siano gli obbiettivi finali di questo sottogruppo, arriverà ad aggiungere: «I club gay sono spuntati dappertutto e le sfilate gay stanno fiorendo in tutta la Serbia, avete tutto ciò che volete, vi siete infiltrati nelle nostre leggi, siete nei media, fate quello che vi piace in questo Paese, avete dei lobbisti gay nel Governo, avete un Primo Ministro gay, cosa volete più da questo Paese? Cosa volete di più da questa gente? Dovremmo tutti noi piegarci davanti a voi? È questa l’idea?». Parole davvero dure, verso le quali però risulterebbe difficile dissentire, non sviluppare una certa empatia.
Il modus operandi della galassia LGBT – e Q, e P, e X, e Y, e Z e non sappiamo quante altre lettere saremo costretti ad aggiungere da qui ad una settimana – è infatti il medesimo ad ogni latitudine geografica, costituisce una sorta di modello da esportazione elaborato per essere utilizzato in ogni angolo del mondo libero. Funziona più o meno così. Inizialmente si costruisce a tavolino una vittimistica rappresentazione dell’universo omosessuale per la quale i gay, a causa dell’omofobia generalizzata che incancrenirebbe l’universo mondo, sarebbero considerati figli di un Dio minore rispetto alle norme ed ai codici di interazione posti dal diritto positivo. Tale rappresentazione viene incessantemente vomitata sulla pubblica opinione attraverso un martellamento che con conosce soluzione di continuità. Questo primo passo è propedeutico al secondo, è funzionale cioè alla costruzione del comune consenso in favore di quella che sarà la vera e propria battaglia, il secondo step, una guerriglia condotta in sede legislativa che arriverà a pretendere per le coppie omosessuali due elementi ben precisi. L’accesso al vincolo matrimoniale, cioè l’equiparazione giuridica dello status di una convivenza omosessuale con le unioni civili eterosessuali e, soprattutto, l’affidamento della prole, tramite adozione, attraverso la famigerata stepchild adoption o, nel caso in cui nessuno dei due partner abbia avuto un figlio dalla eventuale precedente relazione eterosessuale, ricorrendo all’aberrante pratica dell’utero in affitto, producendo così il bambino da accaparrarsi attraverso una serie di pratiche che definire barbare sarebbe un eufemismo.
Questo è lo snodo centrale di tutta la questione. Chi osi opporsi ad una tale deriva antropologica viene automaticamente etichettato come un omofobo, un fanatico discriminatore, una sorta di mostro disumano indegno della minima credibilità, ed il virulento attacco a qualunque voce di dissenso dovesse levarsi viene condotto con una risolutezza certosina. L’indottrinamento atto ad imporre l’ideologia omosessualista viene veicolato sfruttando i canali cardine della società civile: la magistratura (a colpi di sentenze qui in Italia è stato introdotto per via giurisprudenziale l’affidamento di figli alle coppie gay), il processo legislativo (la Cirinnà ha di fatto introdotto il riconoscimento delle unioni civili omosessuali), i media (non c’è bisogno di stare a rimarcare quanto il modello omosex venga continuamente incensato da show televisivi, fiction, programmi di approfondimento ed iniziative culturali di vario genere) e l’istruzione (il gender nelle scuole). Non credo insomma di esagerare nell’avanzare un’ipotesi secondo la quale, a livello globale, sia in azione un sommovimento estremamente ramificato atto a catechizzare la pubblica opinione in merito alla bontà dello stile di vita omosessuale, anzi, della condizione omosessuale tout court.
Stando così le cose, si attesta come indifferibile per questa corrente la necessità di silenziare chiunque esprima della disapprovazione, e ne abbiamo ogni giorno la riprova. L’ennesimo episodio in tal senso ha avuto luogo lo stesso 28 Ottobre a Novara, presso il Conservatorio Cantelli. Qui, Mario Adinolfi, noto giornalista e saggista, ex Deputato PD ed ora leader del Popolo della Famiglia, era impegnato nella presentazione del suo ultimo libro, “O capiamo o moriamo”. Ad un certo punto sulla scena ha fatto irruzione tale Francesco Saverio Nozzolino, famoso per essere, come riportano le cronache, una nascente star del web – qualsiasi cosa questo voglia dire -, salito alla ribalta per avere partecipato ad alcune trasmissioni delle reti Mediaset. La caratura tanto delle sue performances quanto delle trasmissioni in questione credo possa facilmente lasciar intendere di che tipo di personaggio si tratti. Tant’è, costui, vestito solamente con un paio di pedalini ed uno slip, è salito sul palco e per un paio di minuti buoni ha insistentemente palpeggiato Adinolfi con il chiaro intento di provocarlo e suscitare in lui una reazione scomposta, mentre un complice riprendeva il tutto [2]. È bene tener presente che in sala fossero presenti anche diversi bambini. L’atteggiamento di Adinolfi è stato invece encomiabile, non ha opposto resistenza alcuna alla grottesca farsa interpretata dai due ed impassibile ha atteso che il Nozzolino venisse allontanato. Con la massima delicatezza possibile, tra l’altro.
Ovviamente, nessuno si è stracciato le vesti per una così odiosa interruzione della manifestazione in corso, e quando chiamati in causa i padrini ideologici del disturbatore hanno candidamente fatto appello all’ironia ed alla vena artistica del loro protetto. È così che funziona, questi signori hanno facoltà di rovesciare la loro isteria contro quanti considerino nemici, etichettandoli come bigotti, cattonazisti, retrogradi, oscurantisti, medievali e non saprei cos’altro, corroborati nelle loro farneticazioni dal sempre presente appoggio fornito dal codazzo di intrattenitori, presentatori ed intellettuali pronti a prendere posizione a favore dell’uguaglianza e ad insorgere per combattere ogni tipo di discriminazione, non importa se reale o presunta. Ma guai se qualcuno provi a contrattaccare, o solamente a difendersi, cercando di far valere le proprie ragioni. Vi invito a compiere uno sforzo di fantasia. Provate ad immaginare se fosse accaduto qualcosa di simile, ma a protagonisti invertiti. Se il militante di una forza politica o anche semplicemente un libero cittadino che non vedano di buon occhio le istanze dell’universo omosessualista e ritengano in propria coscienza legittimo contrastarle dovessero invadere la location di una esibizione gay per esprimere i convincimenti che professano, cosa succederebbe? La Cirinnà invocherebbe un’interrogazione parlamentare, la Boldrini l’intervento dei caschi blu dell’ONU e la nuova psicopolizia di regime provvederebbe a mandare alla forca il malcapitato. La riprovazione generale sarebbe tanta. Sfido chiunque a sostenere il contrario. Kevin Spacey ha pensato bene di fare coming out poche settimane fa al solo fine di intenerire il popolaccio bue ed uscire indenne dalla vicenda che lo vede accusato di molestie sessuali recentemente occorsagli. Ed a giudicare dalle reazioni suscitate dalle sue dichiarazioni, sembra abbia colto nel segno. Non credo vi siano parole per esprimere il livello di paradosso raggiunto, ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere.
Ritengo quando accaduto ad Adinolfi un episodio fortemente esemplificativo dello stato di cose in essere. In un periodo storico nel quale anche uno sguardo poco ortodosso potrebbe essere considerato un comportamento perseguibile, in cui la macchina mediatica non si lascia sfuggire occasione per gridare allo scandalo quando viene lesa la libertà di espressione di chiunque sia affine alle logiche del pensiero unico, c’è solo una categoria in Italia che può essere dileggiata, vilipesa, osteggiata, schernita, combattuta ed aggredita con la certezza che nessuna ramanzina televisiva avrà luogo né tantomeno alcun provvedimento di carattere giudiziario verrà comminato, ed è quella dei cattolici. Adinolfi è un simbolo, come potrebbero esservene tanti, viene individuato come colui che nell’ambito della competizione elettorale ha scelto di porre dei temi di una semplicità disarmante: la difesa della vita e del matrimonio naturale. Si badi bene, non del matrimonio cattolico, o del matrimonio tradizionale, ma di quello naturale, formato da uomo, donna più potenziale figliolanza, generata biologicamente o ricevuta in affidamento tramite regolare adozione. È infatti arrivato il momento di uscire da questa empasse una volta per tutte. La massa subumana di invertebrati plasmata dalla (non)cultura dominante è stata appiattita in una palude di ignoranza cosmica, i più sono oggi convinti del fatto che la famiglia come universalmente intesa, edificata cioè sulla complementare unione dell’elemento maschile con quello femminile (l’unica possibile), sia un retaggio della cultura cattolica. Ma il Cristianesimo nasce duemila anni fa, prima di allora la collettività com’era articolata?
Un tizio vissuto nel IV secolo AC, conosciuto con il nome “Aristotele” e considerato uno dei padri del pensiero e della mentalità occidentali, il quale evidentemente non poteva essere influenzato dalla speculazione di Gesù Cristo, dagli insegnamenti dei Padri della Chiesa o da qualsiasi altro elemento presente nel Depositum Fidei, ebbe modo di asserire che la cellula fondante della società umana è inconfutabilmente rappresentata dalla famiglia, formata dall’unione di uomo e donna. Non che ci fosse necessità di metterlo nero su bianco, ma pare che all’epoca questa folle corsa ad argomentare con minuziosa puntualità tutti gli aspetti della vita non lasciasse esente nessuno.
La Chiesa cattolica è oggi fatta bersaglio perché è la sola istituzione di un qualche peso che continui a ritenere l’unico modello lecito quello avente come base l’ordine naturale. Per questo motivo è tanto odiata, perché, nonostante gli scivoloni di cui colpevolmente troppo spesso si rende protagonista, continua ad incarnare l’ultimo pericoloso ostacolo rimasto contro l’apparentemente inarrestabile ascesa dell’omologazione globalista.
GRV