La più ignobile e pericolosa bufala in circolazione: l’escalation della violenza sulle donne

Copio ed incollo, senza modificarne neanche una virgola, uno stralcio estratto dall’interessantissimo articolo intitolato “La calunnia del femminicidio”, pubblicato nell’Agosto del 2013 sul blog “Violenza.familiare.blogspot.com” [1]. Aggiungo di mio pugno solamente il numero delle note a pie’ di pagina che rimandano alle fonti citate dall’estensore.

«La realtà dei [..] dati [..] ONU [2011 Global Study on Homicide, UNODC Homicide Statistics] [2, nda] è che: l’Italia è uno dei paesi al mondo con il più basso tasso di omicidi femminili5 per milione all’anno, circa la metà che nei nostri paesi confinanti (9 per milione per anno in Francia, 7 in Svizzera, 13 in Austria…). Fra i grandi paesi, solo Giappone, Irlanda e Grecia hanno tassi minori. Una donna italiana ha, in tutta la sua vita, una probabilità dello 0.05% di subire un omicidio. Se non ci fossero altre cause di morte, una donna vivrebbe in media 200mila anni prima di subire un omicidio. [..] Il numero di donne che si suicidano (22 per milione per anno) è più del quadruplo di donne vittime di omicidio.  Nessuno parla di “auto-femminicidio”.  Unico vero numero da strage è quello dei bambini abortiti (7800 per milione di donne per anno, per un totale di 5 milioni dal 1982 ad oggi nella sola Italia). In Italia il tasso di omicidi maschili è di 16 per milione all’anno, cioè vengono uccisi più di 3 uomini per ogni donna uccisa. Sia uomini che donne uccidono in prevalenza uomini: circa 400 ogni anno.  Le donne assassine uccidono nel 39% dei casi donne, e nel 61% dei casi uomini.  Gli uomini assassini uccidono nel 31% dei casi donne, e nel 69% dei casi uomini. [Ministero dell’Interno, Rapporto sulla Criminalità, “Gli omicidi volontari”, Tabella IV.18, “Genere della vittima secondo il genere dell’autore di omicidio commesso in Italia tra il 2004 e il 2006”] [3, nda]. Ricerche criminologiche indicano che il numero di donne assassine è sottostimato in quanto le donne hanno maggiore tendenza a commissionare omicidi e ad uccidere avvelenando. Nessuno parla del “maschicidio”. In Italia il tasso di suicidio di uomini separati è di 284 per milione all’anno [Dati EURES 2009] [4, nda]. Nessuno ne parla, sebbene si tratti di una vera strage di stato: il tasso di suicidi si quadruplica con la separazione, anche a causa delle sentenze che privano i papà dei loro figli, della loro casa, del loro reddito».

Questa prima panoramica potrebbe già essere sufficiente per prendere contatto con lo stato delle cose. Ciò non bastasse, le ultime indagini fatte uscire dal Ministero dell’Interno relative ai primi nove mesi del 2018 confermano abbondantemente il quadro appena tracciato ed anzi ne accentuano i connotati, indicando che, rispetto agli anni precedenti, sono in diminuzione non solo il numero secco di donne assassinate, ma anche la conta di quei casi oggetto di attenzione da parte delle forze dell’ordine che vengono definiti “femminicidi”. La stessa Polizia di Stato poi, sempre in relazione alla sottocategoria analizzata, tiene a specificare che il vocabolofemminicidio”, cioè «L’uccisione di una donna da parte di un uomo proprio in quanto donna, come atto di prevaricazione», non debba essere considerato un termine giuridico, perché non lo è, ma semplicemente un’espressione di uso comune. Ancora, nonostante vi si faccia riferimento in continuazione, tanto da essere divenuto uno dei temi più trattati da telegiornali e quotidiani, a tale fenomeno è possibile far risalire la porzione minore di tutti gli omicidi che abbiano avuto come vittima una donna registratisi in ambito familiare nei primi mesi dell’anno, in quanto quasi sempre dietro tali efferatissimi atti ci sono state motivazioni di carattere economico, o comunque altro tipo di dinamiche. Per la precisione, vi rientrano 32 dei 94 ammazzamenti sbandierati ai quattro venti da associazioni ed attiviste varie, come fossero un trofeo da esibire. Infine, nello stesso lasso di tempo s’è notevolmente assottigliato anche il computo dei cosiddetti “reati spia”, quelli cioè riguardanti i maltrattamenti in famiglia, lo stalking, le percosse e le violenze sessuali. Strano a dirsi, vero? Ad ascoltare i belati delle varie Asia Argento, Laura Bolrdini, Michela Murgia e compagnia cantante sembrerebbe sia in essere una sorta di mattanza. Eppure, tutto ciò è riscontrabile nella lettura di un documento pubblicato sul portale web del Viminale [5].

Per arrivare al punto, numeri alla mano non esiste alcuna emergenza, nessun particolare aumento della violenza sulle donne s’è ultimamente verificato e, addirittura, i dati e le statistiche disponibili attestano quanto in Italia rispetto a questa odiosa inclinazione si rilevi un notevole ridimensionamento nei confronti di un passato recente nel quale comunque già ci si affermava su una criticità assai esigua, soprattutto comparando la corrispondente ricerca con quelle riguardanti altre compagini etnico-culturali. Europee e non. Il nostro Paese è tra i più sicuri in assoluto per le condizioni del gentil sesso, a dispetto di una pregiudizievole vulgata che invece lo ritrae come una sorta di inferno sulla terra per il genere femminile. Nazioni che ignoro per quale motivo vengano considerate più civili della nostra risultano essere infinitamente più inguaiate da questo punto di vista. Sempre in merito all’Italia, per chiudere il cerchio mi vedo costretto ad aggiungere una ulteriore asserzione, peraltro di facilissima constatazione. Aggressioni e stupri nei confronti della rappresentanza femminea vedono un’incidenza percentuale a dir poco esorbitante degli individui allogeni rispetto al totale della popolazione residente.

Basterebbero queste poche considerazioni per rendersi conto di quanto il clamore con cui viene accompagnata ogni argomentazione avente come oggetto la sensibilizzazione dell’opinione pubblica in merito alle manifestazioni di coercizione subite dall’universo muliebre svolga una funzione di carattere esclusivamente ideologico, e venga utilizzata come strumento politico. Non credo sia necessario starlo ad esplicitare, ma per fugare qualsiasi possibile dubbio voglio asserire con fermezza quanto ritenga deprecabile e ripugnante un uomo che faccia leva sulla propria superiorità fisica per aggredire una donna, sottometterla, soggiogarla, molestarla, percuoterla, nelle peggiori delle ipotesi violentarla od ucciderla. Si tratta di un’attitudine vile, meschina, bestiale. Ora però, risulterebbe evidente a chiunque quanto un martellamento mediatico tanto massiccio come quello al quale stiamo assistendo sia tutt’altro che in linea con le dimensioni del fenomeno cui fa riferimento. Perché?

Il percorso di destrutturazione del genere maschile sta avanzando ad un ritmo preoccupante, e sembra non incontrare ostacolo alcuno sul proprio cammino. La puntigliosa colpevolizzazione dell’uomo e la denigrazione sistematica del padre come figura archetipica sono propedeutiche alla realizzazione di un obbiettivo oramai impossibile da nascondere, vale a dire la completa, totale, assoluta, incondizionata distruzione dell’autorità, l’eliminazione di tutto quanto con essa possa essere identificato. Ciò emerge con particolare chiarezza se si conferisce la giusta attenzione a due elementi ben precisi: la femminilizzazione e l’omosessualizzazione del maschio che i circoli dell’intellighenzia più influenti non mancano occasione di celebrare e prima ancora di promuovere, attraverso una nauseabonda promiscuità affettiva e sessuale rifilata in ogni dove, dal mondo dello spettacolo a quello della letteratura, del cinema, della moda e chi più ne ha più ne metta. È il libertinaggio esaltato a stile di vita, la licenziosità come unico valore, il “vietato vietare” di sessantottina memoria che è finalmente riuscito ad entrare nella mente di ciascuno, e che oggi, a quanto pare, è ben veicolato da questa micidiale offensiva operata contro gli esponenti del sesso forte.

In caso qualcuno ancora nutrisse dei dubbi in merito avrà sicuramente possibilità di ricredersi prestando orecchio ad alcuni passaggi della dichiarazione rilasciata dal Presidente Sergio Mattarella in occasione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne” il 25 Novembre, appena tre giorni fa [6]: «[..] Vanno superate discriminazioni, pregiudizi o stereotipi sui ruoli e sulle attitudini basati sull’appartenenza di genere, iniziando dall’infanzia e in particolare dal mondo della scuola [..]. La prevenzione avviene soltanto continuando ad operare per una profonda trasformazione culturale». La poca acutezza di cui dispongo m’è comunque sufficiente per intuire che quando la prima Carica dello Stato arrivi a scomodare un tanto solenne richiamo alla “trasformazione culturale” in pentola stia bollendo qualcosa di davvero scottante. D’altronde, anche gli accenni all’“infanzia” ed “al mondo della scuola” hanno un significato di difficile equivocabilità. Il Presidente della Repubblica l’ha praticamente messo nero su bianco, prepariamoci, il grande corpus delle nuove verità ufficiali con le quali i nostri figli dovranno essere indottrinati è stato completato con un ulteriore tassello. Gli uomini? Violenti e sopraffattori per assetto genetico. La mascolinità? Una predisposizione inopportuna ed irresponsabile, già negli albori della propria strutturazione congenita.

Tale infame messaggio in fin dei conti viene promosso senza tanti problemi anche dall’universo intellettualoide-intrattenimentistico, giacché, in Italia, il livello del pubblico dibattito ha raggiunto una tanto scadente bassezza da portare queste due dimensioni a convergere, coincidere, sovrapporsi l’una all’altra. Fatta eccezione per qualche pur lodevole accenno di protesta, nessuna particolare levata di scudi ha visto seguire la vergognosa performance di Angela Finocchiaro alla “Tv delle ragazze”, programma condotto da Serena Dandini su Rai 3. Nella puntata di mercoledì 14 Novembre è andato in onda un contributo registrato avente come protagonista l’attrice milanese. Costei, attorniata da un gruppetto di bambine, ha avuto l’intelligentissima pensata di dichiarare loro «Ricordatevi sempre, che gli uomini son dei pezzi di merda». Non contenta, ad una di queste che candidamente le domandava «Anche il mio papà?», la nostra ha risposto «Soprattutto il tuo papà!». Oh, quale aulica ironia, quanta esilarante genuinità! Un momento di televisione che senza dubbio alcuno entrerà ad imperitura memoria negli annali del piccolo schermo. Adesso, facciamo caso che uno degli scadentissimi pseudocabarettisti del panorama nazionalpopolare avesse a disposizione uno spazio altrettanto privilegiato nel quale chiacchierare con degli infanti di sesso maschile e decidesse di dire loro qualcosa come “Bambini, ricordate, tutte le donne sono delle troie. Specialmente le vostre mamme!”. Come andrebbe a finire la storia? Quale epilogo possiamo paventare? Non credo sia un eccesso di fantasia immaginare la fazione facente capo al fondamentalismo progressista invocare a gran voce l’intervento della Magistratura per lasciare in mutande il povero malcapitato, o financo appellarsi alla deliberazione dello stato di guerra da parte del Parlamento.

La realtà dei fatti ci dice che tanto sul piano politico-istituzionale quanto su quello culturale-propagandistico sia in atto uno spiegamento di forze a dir poco ciclopico, animato da prerogative diaboliche. Per contrastarlo  tutti noi dobbiamo impegnarci alla lotta, ciascuno con le armi e le possibilità che gli sono proprie. Le spregevoli menzogne cui dobbiamo far fronte coprono differenti ordini di prospettiva, accomunati dalla medesima finalità: portare a termine la soppressione delle identità, delle specificità, dei caratteri peculiari che da sempre connotano, distinguendoli, i diversi raggruppamenti umani, per dar vita ad un unico, obbrobrioso ed informe agglomerato.

Tra fascistometri, panchine rosse ed hashtags arcobalenati appare evidente quale sia il combattimento al quale siamo chiamati. Femminismo, omosessualismo ed antifascismo sono le tre belve feroci che oggi si frappongo tra la società umana e l’ordine naturale. Ordine naturale che necessita con inderogabile impellenza d’un principio di autorità a protezione delle proprie fondamenta, principio d’autorità il quale, a sua volta, per sussistere esige il trionfo della Verità, oggettiva ed incontestabile, sulla relativizzazione imperante.

La battaglia che la nostra generazione deve condurre e portare a termine è quella contro la dittatura del relativismo.

GRV

 

[1] https://violenzafamiliare.wordpress.com/2013/08/19/la-calunnia-del-femminicidio/

[2] http://www.unodc.org/gsh/en/data.html

[3] http://www1.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/14/0900_rapporto_criminalita.pdf

[4] https://www.eures.it/upload/doc_1305878239.pdf

[5] http://www.interno.gov.it/it/notizie/questo-non-e-amore-polizia-nelle-piazze-italiane-contro-violenza-sulle-donne

[6] https://www.quirinale.it/elementi/19238

[7] https://video.panorama.it/news-video/angela-finocchiaro-gli-uomini-pezzi-merda-video/

Di Battista ha ragione, i giornalisti italiani sono delle grandissime puttane

Non esiste categoria maggiormente autoreferenziale, tronfia, fatua, vanesia, piena di sé. Arroganti, sgradevoli, spocchiosi, a tratti insopportabili. Quante volte li abbiamo ascoltati erudirci in merito al fatto che mettere in discussione l’operato da essi svolto equivarrebbe ad esercitare della violenza? Ammonire chiunque si fosse azzardato a metterne in dubbio le ricostruzioni? O addirittura minacciare con immotivata aggressività quelle vittime dei loro dileggi che avessero osato difendersi? Per non parlare poi della colpa più grande di cui si macchiano senza il minimo ripensamento, vale a dire la sistematica mistificazione della realtà. Sì, i giornalisti italiani sono delle grandissime puttane. Dirò di più, se io fossi una meretrice troverei profondamente offensivo esser loro paragonato. M’indignerei.

Non ho alcuna intenzione di entrare nella disputa che intercorre tra i grillini e la stampa italiana, o nella questione inerente il processo istituito ai danni di Virginia Raggi che l’ha, di fatto, originata. Ancora meno mi interessa, in questo caso, evitare di cedere all’errore nel quale gli esseri umani incappano più frequentemente, e cioè la generalizzazione. Sì sì, per carità, lo sappiamo, i giornalisti non sono tutti uguali. Così come non sono tutti uguali tra di loro i panettieri, gli idraulici o le massaie. Perfetto, abbiamo in tal modo adempiuto al compitino quotidiano impostoci dal nuovo codice di comportamento rispondente ai dettami del politicamente corretto. Oggi però voglio avere la libertà di abbandonarmi ad un poco di superficialità, e fare di tutta l’erba un fascio.

Anche io, come Di Battista, potrei senza tanti problemi stilare una lista nella quale enumerare i nomi di reporter, corrispondenti, cronisti ed opinionisti che seguo quotidianamente, con avidità e sincera ammirazione, perché sono dei professionisti esemplari, preparati e, attitudine forse addirittura più importante, intellettualmente onesti. A fronte di ciò però mi vedo costretto ad una constatazione che ritengo difficilmente confutabile. Non tutti abbiamo la possibilità di approfondire con dovizia e rigore la comprensione degli accadimenti che giorno dopo giorno interessano il globo, utilizzando strumenti idonei per cogliere la portata delle trasformazioni sociali ed economiche in essere, facendo ricorso ad una gamma di fonti particolarmente variegata. Questa è materia per gli addetti ai lavori, la maggior parte di noi non può far altro che cercare di stare sul pezzo quasi esclusivamente tramite la fruizione di giornali e televisione. E qui casca l’asino. Non credo sia necessario stare ad esplicare quali siano le dinamiche legate ai vari interessi di consorteria che indirizzano le tendenze di questo o quel quotidiano, di tale o talaltro spazio di analisi sul piccolo schermo, sarebbe sufficiente considerare le connessioni esistenti tra grandi gruppi editoriali, mercato delle telecomunicazioni, aggregazioni industriali e segmenti del mondo finanziario e bancario. Dunque, qualcuno davvero sarebbe disposto a credere che quanti scrivano per le principali testate nazionali o si esprimano sulle reti commerciali con maggiore audience siano esenti dai rispettivi richiami di scuderia?

Inoltre, come se ciò non bastasse, qualora ci si azzardi ad avanzare delle perplessità circa l’indipendenza professionale di costoro le obiezioni che essi presentano a propria difesa vanno a pescare nel torbido di una retorica che sul pubblico uditorio vanta sempre una certa presa. L’appello a formulazioni quali “cani da guardia del potere”, “sentinelle del pluralismo”, “custodi della libera espressione” ed altre simili amenità fa sì che alla fin fine i nostri riescano sempre a sfangarla, impersonando un vittimismo a dir poco pietoso quando vengono messi di fronte alle responsabilità che su di essi gravano. È in questi casi che parte il micidiale pistolotto avente come contenuto un’argomentazione volta a celebrare la funzione sociale coperta dall’attività giornalistica, che sembrerebbe essere secondo questa vulgata la quintessenza dell’integrità, professionale ed umana, la massima altezza che l’homo sapiens possa raggiungere. Personalmente posseggo una scala di valori diametralmente opposta.

Qualche settimana fa, durante una puntata di “Circo Massimo” [1], il programma condotto da Massimo Giannini su Radio Capital, mentre si discuteva della riforma inerente la direttiva europea sulla difesa dei diritti d’autore la penna più nota di “la Repubblica” ebbe a sentenziare che «L’informazione deve costare, una buona informazione deve costare. Anche questo è a tutela della Democrazia». Ora, io ho da tempo deciso di sposare quel filone ideale che il Professore Domenico Fisichella ha pensato di raccogliere sotto la dicitura “Le ragioni del torto”, cioè, in soldoni, un impianto fortemente critico verso il sistema di governo democratico, le cui fantomatiche attribuzioni, spesso più immaginate che non realmente effettive, vengono fin troppo retoricamente tirate in ballo, ad ogni pie’ sospinto, adoperate come foglia di fico per i capricci di ciascuno. Non immaginavo però che tra queste vi fosse anche la pubblica promozione delle agenzie appartenenti al sistema massmediatico, al fine di concedere alla plebe l’accesso ad una lettura degli eventi non solo scadente e faziosa, ma il più delle volte non corrispondente alla verità. Dietro congruo riconoscimento di pecunia, s’intende. Verrebbe naturale domandare al biondissimo ed accattivantissimo Gianninone, figliolo caro, benedetto il Nome del Signore, quale sarebbe a vostro modo di vedere la “buona informazione”? Quella che porta un laureato in Lettere divenuto non si sa per quale particolare merito l’“esperto economico” del più importante quotidiano nazionale a rimbrottare un esimio accademico con alle spalle più di quarant’anni di studi, ricerche ed insegnamento, incappando peraltro in performances a dir poco barbine? Oppure quella per cui il conflitto siriano è stato raccontato da tutte le principali trasmissioni televisive di approfondimento attraverso una chiave di lettura che definire puerile e grottesca non sarebbe sufficiente per renderne palese l’inattendibilità? O, volendoci spostare sulla carta stampata, quella che ha visto il rilancio compulsivo di una notizia inverosimile, difatti presto smentita, secondo la quale il Governo della Federazione Russa avrebbe condotto a colpi di hackers una determinante ingerenza nelle elezioni politiche italiane che hanno portato al successo Lega e M5S? Sarebbe questa la buona informazione paventata dai dispensatori di falsità? Dio ce ne scampi. E dovremmo anche pagare per fruirne! Come dire, cornuti e mazziati.

Giornali e notiziari televisivi sono i più grandi produttori di notizie false che ci siano. La rete viene accusata di propalare un numero di bufale difficilmente quantificabile, e probabilmente è così. Anzi, non v’è alcun dubbio. C’è però una differenza fondamentale tra questa ed i media tradizionali, ed è la scelta. RCS, Gedi, Mediaset, Rai, Sky Italia e tutti gli altri pezzi da novanta suonano più o meno la stessa musica in tema di informazione, cucinano la medesima minestra, e quella dobbiamo trangugiare. Nell’universo del web si ha invece la possibilità di fare una selezione, operare una cernita, vagliare tutti i documenti disponibili e decidere alla fine di seguire quelli ritenuti maggiormente affidabili.

Sta alla volontà di ciascuno determinare la campana alla quale conferire maggiore attendibilità.

GRV

 

[1] https://www.capital.it/programmi/circo-massimo/puntate/circo-massimo-del-13-09-2018/?fbclid=IwAR0Lulatqdkdgd8KQyRHt0srHxDHkfhdJbUJ9UzCSBtGX5i1nyA6hNewOaE

Quer pasticciaccio brutto del servizio di Giovanni Scifoni per “Le Iene”

Il babilonico mare magnum al cui interno sono raggruppati in diverse macroaree i personaggi che per un verso o per l’altro hanno guadagnato una certa misura di notorietà custodisce, tra gli altri ben più esposti, anche un segmento particolarmente circoscritto, quasi sconosciuto al grande pubblico ed incastrato al buio d’un anfratto seminascosto. Questo singolare raggruppamento raccoglie tra le sue fila quei personaggi che io troverei azzeccato definire “cattolici pubblici”, o “cattolici impegnati”. Principalmente artisti, vale a dire cantanti, attori ed intrattenitori di vario genere, ma anche giornalisti, docenti universitari, professionisti delle più disparate inclinazioni i quali con la sola loro presenza riescono di tanto in tanto a spezzare l’incontrastato dominio di un dibattito culturale profondamente anticristico, in ogni sua manifestazione. Ce n’è per tutti i gusti: intransigenti, aperturisti, progressisti, conservatori, liberali, tradizionalisti e giù a continuare, qualsiasi sfumatura di credente ha la possibilità di fruire del proprio “influencer cattolico” di riferimento. Esistono addirittura delle correnti all’interno delle correnti, come se il Signore stesso non avesse a più riprese fatto notare a noi poveracci quanto la divisione sia l’esercizio che meglio si acchiappa con la figura di Satana – “Diabŏlus”, derivazione latina del termine greco traslitterato in “Diábolos”, “Colui che divide” -, ma questa è un’altra storia.

Tra tutti una posizione di assoluto rilievo è senza dubbio ricoperta dal buon Giovanni Scifoni, affermato ed istrionico caratterista, apprezzato protagonista di interpretazioni cinematografiche, televisive e teatrali, un infaticabile mattatore. Personalmente ebbi modo di ammirarne dal vivo le doti qualche anno fa, mentre in un teatro di periferia si cimentava nel bellissimo “Le ultime sette parole di Cristo”, spettacolo di cui, se non erro, credo vanti la paternità della scrittura. Ne rimasi estasiato, lo trovai sublime. Da allora mi capitò d’incrociarlo a più riprese su Tv2000, sulla Rai e, insomma, m’abituai a considerarlo un personaggio conosciuto, diciamo così.

Questa mia entusiastica predisposizione nei suoi confronti è stata però irrimediabilmente compromessa dal sevizio tramite cui lo Scifoni ha siglato il proprio debutto con “Le Iene”, andato in onda lo scorso 21 Ottobre [1]. A dire il vero, primo motivo di forte sbigottimento è stato per me l’avere appreso quanto il nostro abbia voluto imbarcarsi nella collaborazione con uno show televisivo di tendenze che definire favorevoli alla grande Rivoluzione dissolutoria sarebbe un eufemismo. In merito a questo, però, già odo le facili rimostranze di quanti non condividano tale punto di vista. Il fatto che un individuo a noi affine eserciti in ambienti tanto ostili deve per forza di cose venire considerata un’occorrenza vantaggiosa. Di riffa o di raffa, foss’anche una volta ogni morto di Papa, dovremmo plaudire con favore chiunque riuscisse a portare il messaggio del bene tra i gentili. O no? Staremo a vedere.

Veniamo ora all’oggetto incriminato. Già dal titolo affibbiatogli ben si comprende quale sentiero la produzione abbia deciso di battere. “I leghisti sono dei veri cattolici?”. Dubbio più che amletico, quesito la cui risoluzione si impone con impellente necessità, non c’è che dire. Tant’è, partono le immagini e vediamo Scifoni andarsene a zonzo con il tipico completo da “Reservoir dog” a rimbrottare scherzosamente diversi esponenti della Lega, coadiuvato da un fare canzonatorio dal quale si lascia magistralmente accompagnare. Antonietta Giacometti, Massimiliano Panizzut, Rossano Sasso, Andrea Crippa, Barbara Saltamartini, Luca Toccalini, Riccardo Marchetti, Giuseppe Bellachioma, Cristian Invernizzi, Francesco Zicchieri ed i “pesi massimi” Claudio Borghi, Lorenzo Fontana e Matteo Salvini, tutti passati sotto la scure della Iena novella. L’oggetto delle interpellazioni è rappresentato da una serie di argomentazioni davvero banali nella loro costruzione, ben emblematizzate del sottotitolo del contributo: “La lega che si definisce un partito paladino dei valori cattolici, non ha accolto i migranti salvati nel Mediterraneo”. Devo ammettere di essere stato profondamente turbato dall’utilizzo quasi burlesco che Scifoni ha deciso di fare di alcuni passaggi della Scrittura per fini di carattere meramente cabarettistico. Una lettura surreale del Nuovo Testamento, piegato in questa versione alle contorte logiche del Dogma immigrazionista. Beceraggini, quisquilie e luoghi comuni che davvero non avrei mai immaginato di ascoltare da qualcuno che, pure nella misura a lui confacente, si è a più riprese attestato come prezioso e sincero testimone del messaggio di Cristo.

Alcune delle finezze elargiteci non avrebbero nulla da invidiare alle dabbenaggini abitualmente proferite dal frequentatore medio di uno degli innumerevoli Centri Sociali dislocati sul nostro suolo nazionale. «Gesù era un migrante» – questa me la sarei aspettata dalla Bonino -, «Ma cosa c’è di cattolico in quello che fanno i leghisti coi migranti, per poi arrivare a citare senza alcuna contestualizzazione i Vangeli, l’Apocalisse e le Lettere Paoline: «Lo sa che dice Gesù, a quelli che non accolgono lo straniero? “Fuori da qui, nel fuoco eterno!”. L’inferno!», (Mt 25, 41). «San Paolo dice: “Non c’è né grecogiudeo!”.  Come dire, non c’è né italiano, né eritreo, (Gal 3, 28). «“Ogni volta che non accogliete questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me”», (Mt 25, 45). «“Ero straniero e non mi avete accolto” » (Mt 25, 43). «Una Gerusalemme celeste in cui non ci sono porte e tutti possono entrare, di qualunque nazione» (dedotto, immagino, da Ap 21).

In soldoni, tanto il Signore nei suoi insegnamenti quanto San Paolo e chiunque abbia scritto l’Apocalisse altro non avevano in mente che la ricollocazione nei propri territori d’appartenenza di migranti, profughi e rifugiati politici. Non credo vi sia bisogno di aggiungere chissà quale annotazione.

La Lega, certo per ragioni di calcolo elettorale, ha compiuto una scelta politica ben precisa, cioè rappresentare e fare proprie le istanze riconducibili all’alveo della visione cattolica, soprattutto quelle legate alla dimensione familiare. Possiamo stare a discutere per ore, giorni e settimane circa la legittimità di una tale atteggiamento, dare addosso a Salvini e soci per l’ipocrisia che i detrattori sono convinti eserciterebbero fingendo di mostrarsi affini ad idee e stili di vita che invece nelle proprie faccende private non farebbero altro che calpestare. Ancora, a cinque mesi dall’entrata in carica del Governo Conte è giusto asserire che ci si sarebbe aspettati di più in quanto ad aiuti alle famiglie. Troppo poco, si deve osare maggiormente, sia in termini culturali che eminentemente finanziari. Ma, mi domando, perché c’è questa grande corsa dei media di ispirazione cristiana a dare addosso al Carroccio? Da dove nasce il livore che sacerdotivescovi e laici di una certa importanza nutrono nei confronti della Lega, e più segnatamente di Matteo Salvini? Gli si imputa di avere voluto mostrare Vangelo e Rosario al termine della campagna elettorale poiché, ci ammoniscono i grandi soloni di Famiglia Cristiana, di Avvenire e della Comunità di SantEgidio, la dialettica di Salvini esplicita quanto egli non sia un vero cattolico, non creda, quindi si tratta di un impostore. Sarà, ma a bene vedere,  gli assetti politici post 4 Marzo e l’Esecutivo gialloverde che ne è scaturito hanno avuto quantomeno un merito inconfutabile, addebitabile esclusivamente alla componente leghista: la costituzione di un argine, seppure temporaneo, contro la bestiale deriva antropologica che attraverso le ultime Legislature di centrosinistra è dilagata in Italia con modalità e ritmi preoccupanti. Questo non interessa ai mammasantissima della CEI? Ed a Scifoni? Tale occorrenza non lo coinvolge? E gli altri cattolici impegnati? Cosa ne pensano?

Esiste una nuova Chiesa cattolica, oggi. Una Chiesa cattolica che ha abbandonato, a partire dai suoi vertici, i fondamentali della propria essenza filosofico-dottrinale. Una Chiesa cattolica che si è dimenticata del soprannaturale per avvicinarsi al terreno, una Chiesa cattolica che ha deciso di compiacere il mondo, contravvenendo agli insegnamenti dell’Apostolo Paolo«Non conformatevi a questo mondo» (Rm 12, 2) -, finendo per diventare la caricatura di sé stessa, una scimmia che imita, deformandolo, il volto della Sposa di Cristo. La Chiesa cattolica del XXI secolo si esprime con il linguaggio di un qualsiasi ordinamento giuridico liberaldemocratico, condivide gli assunti della cultura egemone, antepone l’amore alla Verità, si fa portatrice di tematiche infime, che non hanno nulla a che fare con il Divino.

Di rimando, quanti per necessità professionale si vedano impegnati nella collateralità con questo nuovo corso, non potranno che veicolarne la distorsione.

Per concludere, avrei piacere di riportare un breve passaggio tratto da “Il Liberalismo è peccato” (“El liberalismo es pecado”), vergato nel 1884 dal grande apologeta e polemista spagnolo Padre Félix Sardá y Salvany. Il saggio in questione rappresenta un autentico capolavoro della letteratura controrivoluzionaria, filone che oggi sarebbe di grande utilità riscoprire. Credo caschi a fagiolo, come si usa dire, nel tentativo di comprendere la pertinenza tanto della scelta di Scifoni quanto della tendenza che da troppo tempo a questa parte anima la Sede di Pietro.

«[..] L’uomo, massime se di qualche vaglia pel suo talento o per la sua condizione civile, fa molto a favore di qualsiasi idea con solo mostrarsi in relazioni, più o meno benevole, coi fautori di quella. Dà più col tributo della sua rinomanza personale, che se desse denaro, armi, o checché altro materiale d’aiuto. Così, per esempio, un cattolico, massimamente se sacerdote, il quale onori colla sua collaborazione un periodico liberale, chiaramente gli somministra favore col lustro della sua firma, pure se non tolga a difendere la parte mala del periodico, ed anzi ne discordi. Dirassi per avventura che collo scrivervi si ottiene di far udire la voce dabbene a molti che in altro periodico non ascolterebbero altrimenti. Egli è vero: però la firma del dabbenuomo ottiene che facciano buon viso a tal periodico i lettori incapaci di distinguere le dottrine di un redattore da quelle del suo socio; e per siffatta guisa, quello che si pretendeva fosse contrappeso o compensazione del male, torna alla moltitudine in effettiva raccomandazione di esso. Le mille volte lo abbiamo sentito: È cattivo quel periodico? – Ma che! Non è possibile, giacché vi scrive Don tale. Così ragiona il volgo, e volgo siamo quasi la più parte del genere umano. Per disgrazia è frequentissima addì nostri siffatta complicità.».

GRV

 

[1] https://www.iene.mediaset.it/video/scifoni-leghisti-sono-veri-cattolici_205129.shtml