L’endemica inimicizia degli italiani

Le principali solennità che la Religione Civile di casa nostra ha imposto con inusitato impeto ideologico alla malandata coscienza degli italiani sono due. La prima viene officiata ogni stramaledetto 25 Aprile che Iddio Onnipotente ci concede la Grazia di sopportare, la seconda poco meno di un mese e mezzo dopo, il 2 Giugno, anch’essa condita da un carico irrespirabile di logorante ed inutile retorica. Da parte mia, per tutta una serie di contingenze che credo oramai non sfuggano più a nessuno, ho da tempo preso a nominare scherzosamente “Celebrazione dell’occupante” quello che ci viene propinato come l’anniversario della Liberazione e “Festa dell’Imbroglio” il giorno in cui si commemora lo storico Referendum del ‘46 che portò alla nascita della Repubblica.

Per completezza di concetto trovo inoltre sia d’uopo riportare come da diversi ambienti avanzi una linea di pensiero secondo cui si attesterebbe l’inderogabile necessità di aggregare a questa formidabile coppia un terzo elemento, il 4 Novembre e la sua pomposissima “Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate” la quale, in soldoni, avrebbe a che fare con la vittoria italiana nella prima guerra mondiale. In questo modo si costituirebbe una sorta di trinità pseudo sacrale avente come obbiettivo portare a compimento la celeberrima esortazione attribuita al d’Azeglio, relativa al categorico ed indifferibile imperativo di “Fare gli italiani“. Quasi che prima del processo unitario la penisola fosse rimasta disabitata per tre millenni.

Già odo le rimostranze isteriche dei neounitaristi più disparati, mameliani indefessi e garibaldini d’assalto; tranquilli, cari romantici appassionati, chi scrive è innamorato dell’Italia quanto voi, forse di più, e proprio in virtù di questo trova a dir poco esecrabile il nucleo ideale che ha fondamentalmente plasmato tutta l’avventura risorgimentale, vale a dire l’assunto per cui l’impellenza dell’unificazione geopolitica ed istituzionale degli stati preunitari fosse data dalle miserrime condizioni economicostrutturali che questi offrivano alle proprie popolazioni. Stando a tale vulgata, infatti, fino almeno all’età delle rivoluzioni quanti avessero avuto la ventura di abitare nei territori insiti tra le Alpi e la Sicilia sarebbero stati schiacciati per secoli da un giogo straziante, esiziale, composto dalla guida spirituale della Chiesa Cattolica – non solo spirituale all’interno dello Stato Pontificio – e dai codici dalla società tradizionale.

Questa è un’aberrante mistificazione storica, confutata da una saggistica oggi piuttosto nutrita, ed a mio modo di vedere non fa altro che brutalizzare barbaramente il rapporto intragenerazionale esistente tra noi e l’immenso lascito che abbiamo piuttosto indegnamente ricevuto in dote dai nostri predecessori. Sembra quasi non debba esservi memoria di quanto sia stato nel Bel Paese prima del XIX secolo, ivi comprese le inarrivabili altezze raggiunte dalla civiltà italiana per duemila anni in tutti i campi dello scibile, delle arti e dell’ingegno umano.

Fatico a non scorgere in tale occorrenza una precisa volontà politica, particolarmente riscontrabile nei contenuti dei manuali scolastici e perfino, il più delle volte, in quelli universitari maggiormente omologati; in essi l’analisi di ciascun centennio che preceda il 1800 viene pressoché regolarmente inquadrata in una chiave prettamente sfavorevole: il ‘700 ed i lumi che finalmente liberarono le masse papiste dalle loro superstiziose credenze, il ‘600 ed il ‘500 sotto la pesante cappa controriformistica, per non parlare poi del Medio Evo, vera e propria cloaca maxima di tutta la cronologia universale. Un poco ci si salva con i fasti repubblicanoimperiali a cavallo tra prima e dopo Cristo, poiché i richiami alla gloria di RomaMussolini docet – effettivamente rappresentano una carta sempre ed ovunque spendibile.

Risulta dunque evidente come, da un certo punto in avanti, si sia voluta operare una violenta cesura nel sentire generale delle comunità italiche, nel loro patrimonio spirituale ed in quello che volendo stare al passo coi tempi potremmo definire il nostro “background culturale”. Questa frattura, di fatto, è all’origine di tutte le fazioni che hanno animato, dividendoli truculentemente tra loro, i “nuovi italiani” dell’età contemporanea. Pur tenendo conto di tutte le sfumature del caso, partendo dall’essere ed andando a ritroso credo che le diadi appena chiamate in causa possano essere velocemente schematizzate attraverso le categorie che seguono: sovranisti e globalisti, berlusconiani ed antiberlusconiani, democristiani e comunisti, monarchici e repubblicani, partigiani e repubblichini, fascisti ed antifascisti, liberali e socialisti, “piemontesi” e sanfedisti, giacobini ed insorgenti.

Ma dove, quando e perché tutto questo carico di avversione, di risentimento apparentemente insanabile ha visto la luce?

Il Professor Massimo Viglione, storico della filosofia e studioso dei fenomeni controrivoluzionari, in un saggio dato alle stampe nel 2016 (“Il destino dell’Italia”, edizioni Radio Spada) [1] arriva ad asserire che «[…] con il 1796 iniziò qualcosa di fondamentale importanza, un evento che ha mutato per sempre la storia e il modo di pensare e vivere degli italiani. Iniziò la “Rivoluzione Italiana” attiva, militare e militante. Nel 1796 un uragano storicopoliticomilitare e, soprattutto, religioso, si abbatté sulla Penisola dopo secoli di pace, portando con sé la più grave delle eredità: la divisione e l’odio ideologico» [2]. Continua poco più avanti «[…] gli italiani erano in pace effettiva (tranne alcune delimitate zone settentrionali coinvolte loro malgrado nelle guerre delle grandi potenze straniere) dai tempi delle Guerre d’Italia, cioè da tre secoli, e, soprattutto, erano idealmente uniti dal Medioevo; e, in realtà – a parte la divisione “guelfoghibellina“, che comunque non implicava una reale spaccatura ideologica nel senso moderno e rivoluzionario del concetto, in quanto né i guelfi né i ghibellini volevano sovvertire l’ordine costituito – essi erano unitida sempre“, nel senso che mai prima del 1796 avevano conosciuto l’odio della divisione ideologica. Nemmeno quella religiosa del XVI secolo, visto che la Penisola rimase estranea al protestantesimo» [3].

Il 1796 è l’anno fatidico, il punto di svolta, lo spartiacque della nostra storia. Un trauma mai elaborato. Il 1796 apre la Rivoluzione Italiana, primogenita di quella Francese, fenomeno che condurrà i figli di Giulio Cesare, San Benedetto, Dante Alighieri e Caterina da Siena ad odiarsi visceralmente, come mai accaduto prima. E ancora di più questo sarebbe valso in seguito alle implicazioni ed agli sviluppi che da tale mutamento trassero origine, attraverso un vortice che come una slavina aumenti di volume con il solo procedere, fino ad assumere un’entità dinnanzi alla quale non si possa che venire travolti. Un tumulto inarrestabile che si dipana sotto i nostri occhi da oltre duecento anni.

Gli eserciti napoleonici porteranno con sé furti, profanazioni di chiese, vilipendio di reliquie sacre, stupri sistematici, omicidi sommari, eccidi generalizzati, ovunque morte e distruzione, tutto nel diabolico tentativo di ribaltare l’assetto cristiano della società italiana. Non si trattò solamente di un mero progetto di conquista animato da velleità imperialistiche, ma del tentativo deliberato di cancellare scientificamente dal nostro suolo patrio la Fede in Gesù Cristo e la cattolicità. È a dir poco incredibile quanto le reazioni che tali catastrofici accadimenti suscitarono siano quasi del tutto assenti dalla nostra memoria collettiva, ed ancor più colpevolmente dall’insegnamento che viene elargito ai nostri figli. Mi giocherei un occhio della testa sul fatto che nessuno studente tra primaria e secondarie abbia la minima idea di cosa furono le insorgenze antifrancesi, benché tali sollevazioni portarono più di 300.000 italiani a prendere le armi per opporsi all’invasione straniera, e più di 100.000 a morire. Non sono numeri ed avvenimenti che meriterebbero una menzione nei programmi ufficiali redatti dal Ministero della Pubblica Istruzione?

Non ho mai digerito il tediosissimo stereotipo che ritrae gli italiani come cronicamente incapaci di conciliazione, faziosi all’inverosimile, disaccordi su qualsivoglia argomento, quasi schizofrenici; passi il campanilismo, tratto distintivo di cui siamo addirittura gelosi, ma la patologia dissociativa no. Parlare degli abitanti dello Stivale talvolta pare equivalga a tratteggiare la indole di una comunità priva financo del benché minimo idem sentire, mentre a bearsi e riempirsi la bocca con ogni amenità riconducibile al pur abusatissimo concetto di “popolo” puntualmente troviamo delle compagini che impallidirebbero se dovessero comparare il destino comune che li caratterizza con quello che ha forgiato noi. Ma se è questa la nomea che abbiamo, se così veniamo dipinti, è perché in tal guisa la prosopopea risorgimentale, discendete diretta del 1796, ha voluto convincerci di essere. «Noi fummo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi» [4], stanno davvero così le cose? No, è una colpevole ed inaccettabile menzogna. Gli italiani erano già uniti, ben prima del 1861, eccome se lo erano, da tempo immemorabile. Non dal punto di vista statuale, evidentemente, ma senza dubbio alcuno per quanto riguarda l’aspetto etnicoculturale, a conti fatti ben più importante. Pur con tutte le nostre affascinanti differenze particolaristiche eravamo già “Nazione“, grazie ad un certificato di nascita conferitoci da una vicenda storica che francamente ignoro quante altre popolazioni possano vantare.

L’inimicizia che per onestà intellettuale dobbiamo ammettere oggi contraddistingua nettamente gli italiani non è un tratto peculiare inscritto nel nostro retaggio genetico, è un fattore posticcio, artificiale, in fin dei conti di recentissima attribuzione. Dovremmo profondere tutto l’impegno di cui disponiamo nel tentativo di sbarazzarcene, opponendo alla Rivoluzione Italiana una Controrivoluzione che sia degna di tale appellativo.

GRV

 

[1] https://www.lafeltrinelli.it/libri/massimo-viglione/destino-italia-dalla-rivoluzione-unitarista/9788898766314?productId=9788898766314

[2] Massimo Viglione, “Il destino dell’Italia”, Reggio Emilia 2016 (pag. 83).

[3] Ibidem

[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Il_Canto_degli_Italiani

 

 

 

2 pensieri riguardo “L’endemica inimicizia degli italiani”

  1. Lodevole lo spirito con cui descrivi questa nostra “povera Italia”, così come ben descrivi gli odierni “italioti”, quelli che festeggiano (cosa?) nonostante il tragico momento in cui oltre 50.000 imprese forse non riprenderanno mai la loro attività, e con oltre 300.000 persone a rischio del posto di lavoro. Senza parlare di quei “nuovi poveri”, quelli che appartenevano ad una classe intermedia tanto impoverita da essere ormai parte di un proletariato – un vero e proprio Terzo Stato (tiers état) – senza voce e senza diritti. Siamo talmente esterofili da dimenticare la grandezza della nostra Nazione, alla base della quale da sempre c’è stata fede, anima, tradizione, condita da un certo spiritualismo ai limiti dell’esoterismo pagano. Elementi questi che in troppi hanno dimenticato frettolosamente pur di sdoganare, e di attuare, il modus operandi franco-tedesco di illuministica memoria, per poi genuflettersi definitivamente al nuovo asse oriente/occidente determinatosi con gli accordi di Jalta (Conferenza di Jalta – 4/11 febbraio 1945).
    Siamo ormai solo una mera espressione geografica, dominata da tutta una serie di festeggiamenti che mettono in risalto non un percorso di riflessione, di penitenza e di rinuncia, che porterebbe anche ad una revisione storica di tutto il nostro percorso unitario prima e democratico poi, quanto piuttosto una condivisione a tutto tondo di questa nostra nuova sudditanza. A mio modesto parere quindi, e concludo, dovremmo rifondare l’Italia per dare agli italiani di nuovo dignità di popolo, quella ormai perdutasi nei meandri di una memoria troppo spesso abusata, o meglio usata da chi sa manipolare abilmente le menti per altri scopi certamente meno limpidi.

    1. Risorgeremo, ne sono convinto. In pieno. La Civiltà che abbiamo costruito e la Storia che ci ha contraddistinti sono legati a destini ben diversi rispetto alla mediocrità di oggi. Non ho dubbi in merito. 😀

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