Gli uomini eleganti leggono libri, non fanno figli

Lo stadio tardoterminale di questa nichilistica società votata anima e corpo all’ultraprogressismo transumanista che sembra avere realizzato ed in alcuni casi addirittura trasceso le peggiori proiezioni distopiche del secolo XX ci offre con cadenza praticamente quotidiana la possibilità di provare un profondo ed inestinguibile disgusto nei confronti delle sempre maggiori bassezze raggiunte dai nuovi paradigmi antropologici di massa.

Religione olocaustica, migrantolatria, pedissequa venerazione nei confronti nel dogma omosessualista, istanze femministe rifilate in ogni pertugio, un antifascismo di regime che sarebbe eufemistico definire violento, fideistico ossequio riconosciuto a qualsivoglia struttura sovranazionale che avanzi aperte rivendicazioni di multietnicità, la ciclica devozione panecologista ed una esasperata, assillante, insopportabile zoofilia, queste sono le colonne portanti che fanno da impalcatura ideale al benemerito agglomerato euroatlantico. Vale a dire, in soldoni, l’Occidente liberalradicale. O radicalliberale. O globalliberale, o radicaleglobalitario, o globalradicalliberale. Insomma, ci siamo intesi. I principi ora enumerati rappresentano infatti una sorta di totemico octologo al quale ogni individuo che voglia essere considerato rispettabile è giocoforza costretto a prostrarsi, pena l’essere additato come qualcuno dal quale convenga prendere delle siderali distanze.

Quanti dovessero sollevare delle obiezioni in merito alla bontà di tali fondamenta vengono infatti automaticamente relegati nell’alveo dei misoneisti, dei reazionari, dei retrivi; e l’ignominia con cui ognuno di costoro sarà costretto a fare i conti risulta ben esplicitata dalla lettera scarlatta che il malcapitato vedrà cucirsi sugli abiti: antisemitismo, razzismo, omofobia, maschilismo tossico, fascismo, sovranismo – qualsiasi cosa si intenda richiamando tale concetto, francamente non l’ho ancora compreso -, l’accusa di essere un inquinatore seriale o qualcuno che abbia in odio i nostri angelici fratelli animali.

L”Omo Salvatico” di papiniana memoria, di cui mi ritengo indegno esemplare, da un simile stato di cose non potrebbe che ricavare una sensazione di forte stordimento, di annichilimento. Neanche compiendo il più impegnativo degli sforzi di fantasia arriverebbe ad immaginare un consorzio civile modellato su questo tipo di angolature. No. Com’è possibile che il genere umano abbia raggiunto un declino tanto rovinoso? Egli avrebbe chiara fin da subito una inconfutabile verità: l’assetto che s’è deciso di adottare sta combattendo una guerra senza quartiere all’ordine naturale.

Niente al pari dell’inverno demografico che attanaglia il primo mondo può fungere come cartina di tornasole del quadro ritratto. Per quanto riguarda l’Italia, poi, se possibile la situazione è addirittura più preoccupante; le statistiche ufficiali periodicamente pubblicate dall’ISTAT non fanno che registrare record negativo su record negativo, inesorabilmente, ogni anno. Ma a destare una certa impressione non sono solamente i freddi numeri, che comunque già di per sé rappresentano un affidabile indice della direzione imboccata, quanto piuttosto la scarsa considerazione nei confronti della tematica di cui fanno mostra opinione pubblica, universo culturale ed istituzioni. Generare della prole sembra essere divenuta un’operazione legata ad un passato arcaico, ancestrale, tribale, che non abbia più di tanto a che fare con il nostro tempo; un argomento da non trattare, del quale provare vergogna, e tutte le dinamiche in qualche modo correlate a questa materia vengono vissute con un’insofferenza che ha dell’incredibile. Nell’immaginario collettivo oramai non v’è quasi alcuna differenza tra l’essere genitori ed accudire delle bestiole addomesticate. Anzi, un gatto od un cane alla lunga si dimostreranno indubbiamente forieri di assai meno problemi rispetto ad un figlio e, soprattutto, non altrettanto dispendiosi dal punto di vista economico. In più, e qui sta uno degli aspetti sui cui maggiormente si batte per implementare una lettura della genitorialità che la dipinga come la più funesta delle condizioni, mettere al mondo dei pargoli costituirebbe il principale ostacolo al perseguimento della realizzazione personale di ciascuno.

Giampiero Mughini è un raffinatissimo intellettuale postsessantottesco, forse un po’ pentito ma non troppo; trovo che incarni perfettamente la disillusione tipica di quei capobastone della cultura italiana abituati ad abbarbicarsi sulle posizioni acquisite per meriti di appartenenza ideologica e da qui sbertucciare le nuove leve, colpevoli agli occhi dei militanti più anziani di non bramare le medesime passioni che contraddistinsero la fatidica generazione dei contestatori, da salotto o da guerriglia che fossero. Intendiamoci, non per questo lo considero un improvvisato signor nessuno, per carità; anzi, ascoltarlo prodursi nelle sue famigerate ed edotte elucubrazioni, per quanto si possa dissentire dai contenuti espressi, spesso regala degli attimi di vera soddisfazione nel groviglio di volgarità ed indecenza cui le principali piattaforme d’intrattenimento ci hanno abituati.

Un altro grande vecchio del giornalismo italiano dalla polemica facile, Vittorio Feltri, solo alcuni giorni fa ne ha voluto incensare la figura omaggiandolo con un pezzo volto a celebrare la capacità di controtendenza del catanese e, soprattutto, la sua apparentemente sterminata sapienza [1]. In effetti, e data la mediocrità dilagante nella quale sguazza il nostro dibattito pubblico questo deve giocoforza essere considerato un particolare meritorio, il riccio ed occhialuto fu Lotta Continua possiede un bagaglio culturale di tutto rispetto, la cui entità viene ben restituita dalla sua biblioteca personale, che talune ricostruzioni asseriscono essere composta da decine di migliaia di libri [2]. Chapeau. Ricordo uno scambio di battute tra lui e Nicola Porro durante una puntata di “Quarta Repubblica” risalente alla vigilia delle ultime regionali nella quale era ospite anche Giorgia Meloni: il conduttore ad un certo punto gli domandò quanti di quei volumi avesse effettivamente letto, dicendosi scherzosamente impressionato dal numero di tomi che si vociferava avesse nel corso della vita fagocitato. Ma egli cordialmente rifiutò di rispondere, perché «Un uomo elegante non lo dice» [3]. Un uomo elegante non fa sfoggio o vanteria del proprio sapere. Be’, come non convenire! Davvero una lodevole manifestazione di equilibrio. L’erudizione, una virtù da coltivare.

Già, ma a quale prezzo?

In un’altra occasione ebbi modo di rimanere colpito da una comparsata televisiva dell’autore siciliano, “Povera Patria”, Rai 2, Aprile 2019. Si parla di aborto volontario, ed Alessandro Giuli domanda ai presenti in studio se sia o meno da considerarsi una pratica alla stregua dell’omicidio. Il nostro, concedendosi una struggente rimembranza decide di condividere pubblicamente un doloroso frangente del proprio vissuto. «È una domanda che io stesso mi faccio, perché sono passato attraverso questa esperienza […] Io ero un ragazzo, lei era una ragazza, e abbiamo fatto quella scelta […] Ma, io penso che sia stato qualcosa del genere […] Che la scelta sia stata atroce, senza alcun dubbio» [4].

Lungi da me anche solo correre il rischio di banalizzare o mancare del dovuto rispetto nei confronti di vicende altrui, soprattutto quando tanto sofferte, ma, se posso, coglierei l’occasione per mettere insieme i pezzi di questa breve narrazione al fine di trarne alcune precise considerazioni. Mughini ha senza dubbio raggiunto un livello di successo invidiabile, gode di una ottima reputazione ed è un uomo affascinante, preparato, dal quale apprendere molto, al di là di come la si pensi in merito ai massimi sistemi. Per sua stessa forse non esplicita ammissione, tale affermazione è stata possibile certo non esclusivamente ma anche grazie alla contingenza di non avere avuto figli. Ora, in tutta coscienza, se potesse tornare indietro, ed alla luce di quanto da egli esternato stando all’ultima citazione riportata, compirebbe la stessa scelta? Sarebbe interessante domandarglielo. Una carriera appagante, anche dovesse essere la maggiormente sfavillante possibile, vale una vita condotta senza figliolanza? O, addirittura, una interruzione volontaria di gravidanza?

Io in merito non avrei dubbi, per mille e più motivi. Credo però possa essere utile rimandare alle parole con cui il Professor Matteo DAmico ha concluso una delle sue appassionatissime ed appassionantissime esposizioni, tenuta durante il “XXV Convegno di Studi Cattolici” organizzato dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X nell’Ottobre del ‘17. «Educare un bambino, in stato di grazia, formarlo, pregare con lui, lentamente, senza fretta, con amore, avere riserve di energia per essere sempre pazienti, è fare cosa più grande che dirigere l’ONU! […] È la cosa più grande che c’è su questa terra! Bisogna tornare a insegnarlo a tutti!» [5].

Chi è genitore lo sa, quando si ha tra le braccia un batuffolo di ciccia intessutosi attraverso elementi ereditati da noi, nulla conta più, niente continua a rivestire il significato fino ad allora attribuitogli; non c’è proposito ambizione che tenga. Spendere la vita e consumare sé stessi, come una candela che bruci, nell’accudimento della propria progenie, dedicarsi a null’altro che incarnare una certezza, un porto sicuro, un modello da seguire per i figli affidatici dalla Provvidenza, be’, questo vale più che tutte le ricchezze della terra.

Forse che se il caro Mughini avesse incontrato sul proprio cammino un Testimone della Fede tanto credibile da fargli rimodulare i convincimenti professati, le cose per lui sarebbe andate diversamente? Forse che l’abbia incontrato, e pur nonostante questo non lo volle ascoltare? Non lo sappiamo. Ma il Prof. DAmico ha ragione, una delle necessità più impellenti che abbiamo è quella di riportare all’attenzione del mondo la bellezza della famiglia, sopra ogni cosa, valicando gli sterili luoghi comuni che oggi vorrebbero relegarla ad istituzione non all’altezza dei tempi.

Ne va del nostro futuro, del nostro destino, della nostra identità.

Vedremo chi la spunterà, se a sopravvivere nei prossimi decisivi decenni saranno quelle che vengono definite le nuove formazioni sociali, oppure al contrario la cellula da sempre considerata cardine della comunità per eccellenza, che Aristotele definiva imprescindibile fulcro per ogni pur minimo agglomerato umano: padre, madre, prole.

Con l’aiuto di Dio, la storia non potrà che darci ragione.

GRV

 

[1] https://www.liberoquotidiano.it/news/commenti-e-opinioni/26018791/vittorio-feltri-giampiero-mughini-intellettuale-eretico-frusta-se-stesso-pochezza-compagni.html

[2] https://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/versione-mughini-ndash-quot-che-bella-lettera-scritta-193454.htm

[3] https://www.youtube.com/watch?v=7eRIxMkWXA4

[4] https://www.youtube.com/watch?v=jgso9oIm4-4

[5] https://www.youtube.com/watch?v=dZ23biSstQ8

 

Appropriazione culturale, stereotipi etnici ed altre amene farneticazioni

Parecchi anni fa mi capitò di guardare una puntata di “Made”, ennesimo reality show targato Mtv ed ambientato negli USA concepito con l’evidente proposito di offrire al pubblico uno spaccato introspettivo estrapolato dal vissuto delle giovani generazioni. Il canovaccio del format era più o meno questo: una serie di scapestrati adolescenti serbano ciascuno un particolare sogno nel cassetto, per far sì che li riescano a raggiungere si affibbia ad ognuno di essi un fantomatico coach, sé-dicente esperto della materia in questione e solitamente raccattato nello sterminato sottobosco delle aspiranti celebrities. Tra i teenagers coinvolti poteva capitare di trovare il ragazzo obeso che vuole dimagrire per partecipare alle selezioni sportive della scuola, la bruttina desiderosa di incontrare un cavaliere che la accompagni al prom di fine anno; chi sognava di diventare ballerina e chi attore, insomma, brufoli, estrogeni e testosterone. Cose di questo tipo. La tizia nella quale mi capitò d’imbattermi era una ragazzina appassionata di rap, e desiderava fortemente diventare una MC. Bianca e di buona famiglia, tale privilegiata estrazione sociale sembrava già di per sé costituire un primo ostacolo alla realizzazione del suo obbiettivo.

Arrivati ad un certo punto della tabella di marcia stilata dal tutor, questi, con l’intento di farle impattare una realtà ed uno standard di vita assai più duri rispetto alla sua routine quotidiana decide di portarla in visita presso una scuola a forte presenza di studenti afroamericani situata in un quartiere non particolarmente fortunato. Rimasi esterrefatto dall’accoglienza che le riservarono: all’interno di una classe composta da soli suoi coetanei di colore fu messa alla berlina e fatta oggetto di terribili canzonature. A detta dei presenti infatti ella non avrebbe dovuto permettersi di tentare la strada agognata, in quanto l’hip hop dovrebbe essere ad esclusivo appannaggio della razza negroide. Uno di quegli allievi sentenziò, e per inciso fu la prima volta in cui incappai in una formulazione di questo tipo, che la nostra amica si stava macchiando dell’imperdonabile onta conosciuta con la dicitura “appropriazione culturale”. Rimasi a dir poco interdetto. Quasi automaticamente ragionai sul fatto che, appartenendo io alla compagine etnica maggiormente dispensatrice di civilizzazione nei confronti dell’umanità, se avessi voluto cominciare a condividere il bizzarro ragionamento di quel tipo mi sarei trovato piuttosto spesso nella condizione di dover storcere il naso. O no? Avrei dovuto obbiettare qualcosa ogni qualvolta il primo individuo neanche lontanamente ascrivibile alla genia dei mangiaspaghetti avesse osato recitare un paio di versi della Commedia di Dante. O esporre in casa propria una raffigurazione della Venere di Botticelli. O canticchiare un successo di Pavarotti, cucinare una lasagna, pasteggiare del Chianti, inscenare una pièce di Pirandello o godersi uno dei capolavori di Fellini. L’elenco potrebbe continuare a lungo. E invece no, presto mi resi conto di quanto questo strampalato assunto valga solamente in una direzione; cioè, il ruolo della vittima viene d’ordinanza concesso solo a taluni raggruppamenti.

Ma tant’è, all’epoca ebbi l’impressione che quei giovanotti fossero solo dei semplici fanatici, degli stravaganti scavezzacollo; ritenni quel ragazzotto una sorta di suprematista del dreadlock, e nulla di più. Pur constatando una pericolosa illogicità nelle sue asserzioni non gli diedi troppo peso. Oggi, invece, siamo costretti a constatare come costruzioni congetturali tanto folli ed avventate costituiscano il brodo di coltura del nostro zeitgeist.

L’ultimo vaneggiamento al quale c’è toccato assistere riguarda la piattaformaDisney+” e, loro malgrado, i relativi abbonati. Per i fruitori di questo prodotto che abbiano nel proprio nucleo familiare almeno un minore di sette anni da un paio di settimane non è più possibile scegliere, tra i contenuti a disposizione, alcune tra le migliori produzioni della casa: “Le avventure di Peter Pan”, “Dumbo” e gli “Aristogatti”. Il motivo? Semplice, i lungometraggi in questione presenterebbero delle “rappresentazioni negative e/o trattamenti errati nei confronti di persone o culture” [1]. Per farla breve, come oggi va di moda dire, degli “stereotipi etnici”. Non posso esimermi dall’avanzare un paio di note a margine di tanta dissennatezza, innanzitutto bisogna però valutare a fondo il merito delle contestazioni. Il cartoon ambientato nell’”Isola che non cè” avrebbe la colpa di appellare come pellerossa – “redskin”, o “red man” – i nativi americani [2]; in quello con protagonista l’elefantino voltante vengono stigmatizzati due passaggi (le cui sequenza a mio parere equivalgono a degli autentici gioiellini), uno in cui la banda dei corvi prende di mira il piccolo pachiderma [3], nell’altro uomini ed animali sgobbano faticosamente  sotto la pioggia battente al ritmo della canzone dei lavoratori del circo, i “roustabouts” [4]. Questo poiché, a causa degli elementi biologici che richiamano apertamente la provenienza africana dei personaggi, in entrambi i casi verrebbe ridicolizzata la disumana parentesi schiavistica. Per quanto riguarda invece la storia felina nel mirino è finita la raffigurazione del gatto siamese Shun Gon [5], troppo caricaturale e quindi irrispettosa verso i tratti fisiognomici asiatici.

Ora, per quanto si possa ed in una certa misura si debba effettivamente considerare lecita la preoccupazione volta ad evitare che una determinata produzione artistica veicoli dei messaggi discriminatori, appare del tutto palese il clima da caccia alle streghe che è stato instaurato in ogni declinazione della vita collettiva. Un’allucinazione senza fine. Inoltre, ripeto, tali levate di scudi vengono sguainate solo in difesa di particolari categorie, non a tutte viene riconosciuta la possibilità di accampare rivendicazioni. Perché? Volendo rimanere nel computo dell’ultimo caso citato ed abbassandoci per un momento al miserrimo livello cognitivo di quanti approvino simili scelleratezze potremmo infatti senza tanta fatica constatate come “The Aristocats” di luoghi comuni ne presenti parecchi. Che dire di Peppo, il gatto italiano – “the italian cat” nei titoli di coda – che suona la fisarmonica, indossa una sorta di bandana rossa a pallini bianchi ed un copricapo da gangster? Non è anche questo un cliché che potrebbe risultare offensivo? E per quanto riguarda Thomas O’ Malley, a noi noto come Romeo grazie alla voce dell’indimenticabile Renzo Montagnani ma che nella versione originale è un randagio irlandese perdigiorno e scansafatiche?

Per rimarcare lo stato comatoso nel quale versa il dibattito pubblico potrebbero essere addotti a scopo esemplificativo ancora tanti e tanti episodi, delle più disparate inclinazioni. Ormai, infatti, il sole non tramonta senza che le cronache giornalistiche quotidiane non abbiano riportato con la loro insopportabile tendenza accusatoria lo specifico caso di intolleranza perpetrato ai danni della siffatta comunità protetta o la determinata aberrante ingiuria vomitata contro il singolo membro x del vattelapesca intoccabile gruppo. E via giù con le sciroppose filippiche volte ad irreggimentare la comune sensibilità in direzione di una maggiore inclusività, di una più proficua partecipazione ai processi di sensibilizzazione, della necessità di una mobilitazione – prima mediatica, poi magari anche giuridica – volta ad arginare gli estremismi. Viene alla fine imposta a suon di colpevolizzazione l’accettazione passiva delle peggiori abominevolezze partorite dai padroni del discorso, che con il pretesto di combattere il sempiterno spauracchio della discriminazione verranno fatte ingurgitare a forza ai poveracci del mondo libero.

Ma bisogna fare attenzione, quando si abbandona lordine per il caos, la catastrofe fa capolino.

Risuonano profetiche le parole dello storico leader socialista Pietro Nenni, secondo il quale quanti volessero gareggiare nella singolare competizione volta a certificare chi tra i partecipanti disponga del maggior grado di purezza saranno destinati a trovare, prima o poi, qualcuno più puro di loro che finirà con l’epurarli.

Quest’insana corsa alla criminalizzazione di tutti gli indomiti determinati a rigettare con forza gli irricevibili paradigmi intellettuali imperanti non porterà nulla di buono. No. Anzi, a lungo andare, a forza di tirare la corda produrrà l’inevitabile epilogo di tanti morti ammazzati.

Alla stregua di una vera e propria guerra.

GRV

 

[1] Estratto del messaggio contenuto del disclaimer redatto per gli abbonati di “Disney+” che provassero a riprodurre uno dei cartoni incriminati.

[2] https://www.youtube.com/watch?v=Efaqfsqg7hU

[3] https://www.youtube.com/watch?v=Sk1O8Vhz1Fc

[4] https://www.youtube.com/watch?v=P75mur1xF7U

[5] https://www.youtube.com/watch?v=4rrXR6n0RTY

Se fossimo ingenui crederemmo. Ma siamo progrediti, acculturati, sapienti, e disabituati alla Fede

Lo scorso 21 Dicembre la volta celeste ci ha regalato uno di quegli spettacoli cui davvero non si ha possibilità di assistere tanto frequentemente. Gli studiosi hanno infatti stabilito che, prima di allora, questo fenomeno ebbe luogo nel 1623, nel 1226 – datazione già di per sé densa di significato – ed in altri segmenti cronologici ancora più lontani. La strabiliante e rarissima manifestazione in questione, vissuta come un vero e proprio evento mainstream ed attesa con enfasi da scienziati, appassionati e semplici curiosi è stata seguita in diretta da numerosi network televisivi ed altre piattaforme d’informazione, tra cui il canale Youtube dell’Osservatorio di Lowell, Arizona [1]. Per andare al punto, stiamo parlando dell’avvicinamento dei pianeti super giganti Giove e Saturno, forse i due inquilini del nostro Sistema Solare maggiormente affascinanti. Un accostamento solo apparente, diciamo così, o come tale percepito ad occhio nudo dalla Terra, poiché in realtà a dividere i due pesi massimi hanno comunque continuato ad insistere ben oltre 700 milioni di km. Ciò che rende tanto eccezionale un avvenimento come quella ora descritto è senza dubbio l’impressione che questo offrirà a quanti avessero l’opportunità di osservarlo dalla superficie dell’orbe: un bagliore di luce potentissimo, penetrante, impossibile da non cogliere, al quale quasi naturalmente si potrebbe essere portati a conferire delle attribuzioni metafisiche, divine, o quantomeno non esclusivamente afferenti alla dimensione empirica ed immanente.

Trovo inoltre estremamente considerevole la contingenza che registra la medesima congiunzione astrale essersi verificata non una, ma ben tre volte nel corso del 7 AC, anno sul quale oramai moltissimi storici convergono nel collocare la nascita del Signore. Come non esplodere d’eccitazione constatando quanto tale occorrenza possa corroborare in maniera quasi perfettamente esaustiva la narrazione degli eventi riguardanti «I Magi» e la «Stella» del «Re dei Giudei» riportati dal Vangelo di Matteo? D’altronde, “Christmas Star” è la formulazione con cui comunemente si è fatto riferimento alla giustapposizione astronomica del Solstizio d’Inverno avutosi un mese or sono. Per quanto ne sappiamo, il luterano Johannes Kepler fu il primo, nel XVII secolo, ad immaginare che si potessero mettere in relazione l’evento cosmico ed il sopracitato frangente della Rivelazione, e ad oggi risultano pubblicati sull’argomento approfondimenti piuttosto puntuali [2] ed enormemente avvincenti negli sviluppi che propongono [3].

I testi canonici che raccontano la Storia della Salvezza pullulano di evidenze documentali a favore della propria veridicità scientifica quantunque l’insegnamento teologico che da essi scaturisce non ne abbisogni minimamente; eppure, nonostante questo, l’uomo contemporaneo, figlio della modernità, non riesce più a prestarvi fede. Cosa dire delle fonti relative alla Vita di Gesù? Pseudointellettuali e professionisti a libro paga dell’Ateismo militante continuano pervicacemente a negare che il Cristo del Nuovo Testamento sia realmente esistito, adducendo argomentazioni criticofilologiche che molto spesso rasentano il ridicolo; nondimeno, sui libri di scuola tutti noi siamo stati abituati a studiare gesta, opere e lasciti di personaggi la cui attendibilità storica non risulta neanche minimamente paragonabile alla robustezza delle attestazioni riguardanti la parabola del Nazareno.

V’è del paradosso in tale stato di cose.

Anni fa ebbi modo di ascoltare un Sacerdote lamentarsi bonariamente del fatto che molti dei suoi fedeli fossero persone istruite, che avevano studiato, come si dice. La trovai una provocazione sottile, pungente, assolutamente pertinente. Colse perfettamente, a mio modo di vedere, uno degli aspetti più tragici della nostra epoca. Quanto più infatti ci si abbarbichi dentro categorie di pensiero fredde, calcolatrici ed asettiche, inesorabilmente plasmate dalla mentalità nichilistica oggi imperante, tanto meno si sarà predisposti ad accogliere benevolmente i contenuti della nostra Fede. Secoli di incessanti purghe a contenuto massiccio di razionalismo, materialismo e positivismo come quelle cui siamo stati violentemente sottoposti hanno prodotto l’inevitabile risultato di scollegare l’autentica disposizione ontologica dell’uomo dall’anelito primordiale per eccellenza: la ricerca del Trascendente, la tendenza verso l’Assoluto, lo slancio in direzione del Sacro. Il desiderio di elevazione verso il Cielo.

La società che abbiamo edificato non riconosce alcuna cittadinanza a questo tipo di aspirazioni, ma al contrario le soffoca, destinandole alla liquefazione. Oggi, molto semplicemente, noi non crediamo. Non crediamo più. In niente. Non permettiamo che la meraviglia della Buona Novella possa stupirci, riteniamo sconveniente gioire per la Speranza che il Cristianesimo promette di instillare nelle anime di chi vi si accosti; è inopportuno, poco à la page, di dubbia attrattività. Prestare credenza in qualcosa che non sia immediatamente tangibile, codificabile, viene considerata attitudine da ignoranti, concedere attenzione ai moniti provenienti da un’istituzione ritenuta oscurantista e bigotta è un rischio che nessuno vuole correre.

Ora, a forza di sentirsi ripetere le peggiori nefandezze circa le varie articolazioni della propria Dottrina, ininterrottamente, da ogni angolazione, per voce delle più disparate campane, in campo sociologico quanto in ambiente scolastico, per via dell’universo accademico, da parte del mondo intellettuale e dei circoli culturali accreditati, a mezzo di tutte le componenti della collettività, pubbliche o private che siano, è a dir poco fisiologico che i cattolici abbiano sviluppato una certa disaffezione nei confronti della confessione che professano, e la maggior parte di questi si guarderà bene dall’assumere apertamente un atteggiamento di immediata conformità ad essa, che non conosca alcun tipo di esitazione. Un mare insormontabile di remore si manifesta a chi voglia slanciarsi con entusiasmo in questo salto nel vuoto. È possibile che un Uomo risorga dalla morte? È credibile che una Vergine concepisca e partorisca un Figlio? Ed il peccato originale? E così, via discorrendo, la lista potrebbe essere interminabile. Come si vede, sono incertezze che traggono origine da elucubrazioni mentali tipicamente razionali, razionaliste, razionalistiche, particolarmente legate alla lettura della realtà materiale, animata, sensibile. Ciò che non può essere compreso, toccato, udito o visto, molto semplicemente non esisterà. E poco importa che l’Incontro con la Seconda Persona della Trinità, Gesù Cristo Salvatore, coinvolga a pieno tutti i sensi che la viva esperienza chiama in causa ed, anzi, ne sia principale sorgente ed ispirazione; a tanto non si arriverà se prima non si accetta intellettivamente che Esso possa avere luogo, che Esso esista, perché il Signore esiste. Eccome se esiste.

Quanti rimangano strenuamente trincerati nelle irriducibili convinzioni deiste partorite dagli impianti filosoficodottrinali che hanno rifiutato il soprannaturale difficilmente saranno disposti a mettersi in gioco per tentare di superare questi ostacoli. Eppure, anche per ovviare a tale deficienza il Signore non mancò di indicarci la via da seguire. «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli» (Mt 18, 3). Quale meraviglia esprime l’espressione di un infante cui si stiano avanzando degli ammaestramenti? Quanta purezza si può scorgere nel visetto di un pupo al quale si chieda di confidare in un determinato ammonimento? Se egli troverà del buono in quanto prescrittogli, allora vi aderirà. Senza fronzoli, privo di qualsivoglia pregiudizio. Non si troveranno in lui tentennamenti, perplessità, diffidenze o dubbi; no, crederà.

I bambini non sono corrotti dalla coltre di scetticismo che intasa i pensieri  e le emozioni di noi adulti, i bambini sono semplici, acerbi, non edotti, non ancora del tutto formati, e questa è la loro forza. Essi non hanno difficoltà a far proprie le Verità Dogmatiche anche più spinose. Il passaggio che li porta a riconoscere al proprio educatore l’autorità della docenza si sviluppa attraverso una modulazione fluida, ordinata, scorrevole, non farraginosa. Magari gli uomini maturi avessero la stessa capacità! No, noi siamo affastellati nella nostra protervia, siamo preparati, competenti, esperti, chi potrà dirci cosa fare, o addirittura avere qualcosa da insegnarci?

Ecco perché l’archetipo del fanciullo disincantato, franco, sincero, quasi ingenuo nella sua infinità bontà risulta perfetto per tratteggiare la indole che dovrebbe contraddistinguere il cristiano, colui che è disposto a mettersi in ascolto, ad intraprende il cammino tortuoso, la strada impervia.

Per credere bisogna essere intenzionati a liberarsi da ogni cosa, stessi, le idee che si professano, i miti nei quali ci si immedesima, gli obbiettivi che si bramano ed i traguardi che si sono raggiunti. Perdere tutto per trovare tutto.

Questa è la semplicità che dobbiamo ritrovare, il candore che abbiamo il dovere di ricercare. Ne va della nostra Salvezza.

GRV

 

[1] https://www.youtube.com/watch?v=XrRcfaWutLQ&feature=emb_logo&fbclid=IwAR16bTtqcPDLLLt05NmmiVp5FJxiBFXrjXiIMk4B998ubpmpTcyG06kUTEw

[2] https://www.maurizioblondet.it/wp-content/uploads/2020/12/La-Stella-di-Betlemme-studio.pdf

[3] http://www.gianlucamarletta.it/wordpress/2021/01/astro-dei-magi/

L’ospedale da campo ha chiuso i battenti

Una delle sentenze popolari maggiormente in auge tra le coppie sposate propone un assunto secondo cui il settimo anno di matrimonio sarebbe quello nel quale risulti oltremodo probabile che la tenuta del connubio si ritrovi sottoposta ad un forte affanno, e che tale malegevolezza il più delle volte venga quasi ufficialmente certificata dal palesarsi della paradigmatica crisi. Jorge Mario Bergoglio, in qualità di Capo della Cattolicità, ha da una manciata di mesi scavallato lo stesso traguardo riportato dal proverbio, questa potrebbe quindi essere l’occasione adatta per abbozzare un bilancio del cammino percorso dal Servo dei Servi di Dio. D’altronde, Papa Francesco non manca occasione di rimarcare la propria veste di Vescovo di Roma, come se siffatta attribuzione avesse per lui una valenza differente, superiore rispetto a quella che lo vede essere il Vicario di Cristo; dunque, foss’anche solamente per l’occorrenza che mi vede suddito della Diocesi da Egli governata, credo di potere permettermi un innocente e del tutto disinteressato excursus che analizzi la strada sin qui battuta dal Pontefice regnante.

Come in una delle migliori tradizioni narrative avrei piacere di iniziare il racconto partendo da una delle sue articolazioni cronologicamente più vicine anziché dal principio, il tradizionale incontro con la Curia romana per gli auguri natalizi tenutosi lo scorso 21 Dicembre. In suddetta occasione, prima di illustrare le ennesime innovazioni riguardanti il possente processo di riforma amministrativa intrapreso, il Successore di Pietro ha avuto modo di concedersi una roboante quanto lapalissiana dichiarazione: «Non siamo più in un regime di cristianità» [1]. Appurato quanto un sondaggio avente come oggetto l’adesione del mondo al Cattolicesimo Romano oggi registrerebbe il più scontato degli esiti, si tratta di parole che personalmente trovo fortemente emblematiche circa l’attitudine che sta permeando questo Pontificato, attraverso le quali colui che le ha pronunciate sembrerebbe volere presentarsi come una specie di commissario speciale, di curatore fallimentare, qualcuno che abbia ricevuto la direttiva di smantellare un’impresa sull’orlo della bancarotta. Certo, il periodo ora citato andrebbe inserito come si conviene nel contesto più ampio dell’intero discorso, ma non si può negare quanto comunque restituisca piuttosto puntualmente l’inclinatura generalmente tenuta dal fu Arcivescovo di Buenos Aires. Di contro, strano a dirsi, all’interno della medesima allocuzione non mancarono accorati appelli alla necessità di rimanere fedeli alle consuetudini, di non deviare dall’ortodossia, di restare conformi al credo di sempre. Quale posizione assumere dinnanzi ad un Primate dItalia che nella medesima circostanza trovi il modo di asserire «Nella prospettiva del credente, al centro di tutto c’è la stabilità di Dio» – citando il Cardinal Newman -, ma anche «L’atteggiamento sano è piuttosto quello di lasciarsi interrogare dalle sfide del tempo presente e di coglierle con le virtù del discernimento»? Oppure «Noi dobbiamo avviare processi e non occupare spazi» e poco dopo «Oggi il tema del cambiamento […] si fonda principalmente sulla fedeltà al depositum fidei e alla Tradizione»? Non vedo come biasimare chi dovesse eventualmente sviluppare della confusione. È possibile coniugare tesi conservatrici ed istanze progressiste?

A ben vedere, uno dei primi aspetti che salti all’occhio qualora si voglia inquadrare la “linea editoriale” del nuovo corso bergogliano è proprio la sistematica mancanza di riferimenti granitici, indubitabili, tanto in ambito teologicodottrinale quanto dal punto di vista pastorale; anzi, a voler essere maliziosi si potrebbe addirittura iperbolicamente avanzare un’ipotesi secondo cui il Magistero francescano abbia come principale obbiettivo la scientifica relativizzazione delle certezze dogmatiche sulle quali la Barca di Pietro si trova a poggiare, ed il disorientamento che oggi imperversa tra i cattolici ne è plastica ed emblematica dimostrazione. I divorziati risposatisi in seconde nozze o comunque conviventi possono accedere al Sacramento dell’Eucarestia? Be’, dipende dal percorso di discernimento intrapreso, si capisce [2]! È lecito prostrarsi dinnanzi ad una statuetta di legno dall’aspetto ributtante, considerata un idolo di natura paganodemoniaca da antropologi e studiosi delle religioni [3], financo portarla in processione [4]? Diamine se è lecito! Vogliamo forse opporre degli ostacoli all’irrinunciabile processo di inculturazione tra noi e le tribù amazzoniche? Ed in merito alle questioni morali, come si pone la Chiesa oggi? Nulla è cambiato, ammoniscono severamente le solerti squadracce bergogliste, l’insegnamento attuale è perfettamente in linea con quelli precedenti. Ed in effetti, ad onor del vero, quando espressosi sopra questioni inerenti la celeberrima famiglia dei “principi non negoziabili”, il barricadero argentino è spesso riuscito a rimanere nei ranghi [5], [6], [7]; dobbiamo però allo stesso tempo prendere atto di quelle specifiche occasioni che lo hanno visto abbandonarsi ad ostentate quanto poco comprensibili inscenazioni [8], dichiarazioni ambigue [9] ed atti di governo o di “promozione culturale” [10] che sarebbe eufemistico etichettare come astrusi, equivoci, subdoli, quando non apertamente contrari al giudizio cattolico.

Nell’arcinoto pezzo pubblicato a firma Massimo Franco su “Il Corriere della Sera” l’8 Febbraio del 2018, intitolato “Francesco: «Il mio abbraccio ai fratelli ortodossi»” [11], si ha possibilità di leggere quanto segue: «[…] Ed è solito citare “Tra i grandi dell’Italia di oggi” sia il capo dello Stato emerito, Giorgio Napolitano, che l’ex ministro Emma Bonino. […] Quanto alla Bonino, a interlocutori che strabuzzano gli occhi sentendo citare l’esponente radicale, sostiene che “È la persona che conosce meglio l’Africa. E ha offerto il miglior servizio all’Italia per conoscere l’Africa. Mi dicono: è gente che la pensa in modo molto diverso da noi. Vero, ma pazienza. Bisogna guardare alle persone, a quello che fanno”». Bene. Vogliamo allora andare a guardare quanto fatto dall’ex pupilla di Pannella? Pronti! Migliaia di aborti procurati, promozione dei modelli più antiumani che si possano immaginare, un’esistenza vissuta nel pervicace tentativo di disintegrare la sacralità della vita e quel briciolo di Dottrina Sociale scampato al declino della società italiana. La principale incarnazione della Rivoluzione nel nostro Paese. Almeno, in sede politica. Pompa da bicicletta o non pompa da bicicletta [12]. Ora, quando venni a sapere del pubblico apprezzamento petrino nei confronti della triturafeti piemontese devo confessare di avere provato una sensazione di forte stordimento. M’è davvero mancata la terra sotto i piedi. Com’è possibile che un Papa si esprima in questi termini nei confronti di una donna così affine a tutto quanto contraddica apertamente la morale cattolica, la retta ragione e l’ordine naturale, ed il cui solo richiamo irrimediabilmente finisce con l’evocare in tutta la loro drammaticità le pieghe più pericolosamente diaboliche che la nostra storia recente abbia intrapreso? Appena pronunciarne il nome dovrebbe provocare dei giramenti di testa a chi faccia parte della Chiesa. Ricordo che allora degli improvvidi individui per tirarsi fuori dall’impasse ebbero il coraggio di proporre delle ricostruzioni a dir poco strampalate, secondo le quali Bergoglio non ne conoscesse il curriculum, non fosse al corrente di quali battaglie la videro protagonista.. Qui non ci sono finestre di Overton o rane bollite che tengano, signori, o ci si rende conto del fatto che più di qualcosa non va, oppure tanto vale bendarsi gli occhi ed attraversare a semaforo pedonale rosso l’arteria urbana più trafficata della propria città.

Il caso di Emma Bonino, inoltre, potrebbe piuttosto proficuamente essere preso ad esempio per identificare il modo di fare, che molti con accezione sprezzante definiscono segnatamentegesuitico”, attraverso cui il Pontefice volente o nolente non produce altro risultato che generare del subbuglio. Con le parole “Bisogna guardare alle persone, a quello che fanno”, a cosa faceva riferimento? All’operato dell’ex radicale nel continente nero? Sì? E non avrebbe potuto ritenere maggiormente opportuno, Sua Santità, qualora l’intento ricercato fosse stato quello di elogiare qualcuno per l’attività umanitaria svolta in territorio africano, evitare di chiamare in causa una personalità tanto ostile alla Fede e magari indirizzare i propri apprezzamenti verso figure meno problematiche? Come dovrebbero reagire quelle donne che, dilaniate dal dolore provocato da una interruzione volontaria di gravidanza, abbiano avuto il coraggio di cercare ristoro in una credenza, casomai riscoperta, nel Vangelo, in Gesù Cristo? Sarebbero da considerarsi delle “farisee” quante tra queste dovessero trovare ambiguo un tanto infelice endorsment? Cosa intendeva trasmettere Francesco? Quale messaggio aveva intenzione di veicolare? Non si sa, non si capisce, enuncia asserzioni spesso e volentieri di dubbia interpretazione, ci si accapiglia veementemente gli uni con gli altri al fine di comprenderle ma alla fine ciascuna delle fazioni sorte dalla baruffa rimane arcignamente sulle proprie convinzioni. E qui v’è, a mio modo di vedere, l’elemento che più di tutti consente di cogliere quanto profondamente esiziale sia in questi casi la condotta del Papa. Uscite a braccio, interviste a bordo dei voli diplomatici, interventi informali, pur non facendo parte dei solenni ammaestramentiEx cathedra” è innegabile quanto queste sortite vantino una cospicua valenza a livello comunicativo ed abbiano un considerevole impatto sulle coscienze dei credenti. Quasi tutti i pronunciamenti espressi in sede non ufficiale finiscono sempre con il produrre delle accesissime discussioni tra i fedeli, con il dividerli, il contrapporli. E, talvolta, poco cambia con quelle ufficiali. È una delle sue principali peculiarità, sembra si diverta a giocare sull’equivoco, estrinsecando una dozzinalità a tratti insopportabile nel maneggiare questioni che meriterebbero ben altro ossequio, come per esempio quando si ritrova a discettare sulla natura della Beata e Sempre Vergine Maria [13], [14], [15]. Vogliamo credere che alla base di tutto questo non vi sia alcun tipo di costruzione? Benissimo, crediamolo. Non dimentichiamo però che «Sia invece il vostro parlare , ; no, no» – Mt 5, 37 -, il resto.. È pane per i denti di quanti desiderino compiacere le platee.

Il successo personale, mediatico e presso il ceto intellettuale che il nostro è riuscito a guadagnare in questi anni risulta inversamente proporzionale alla sua coerenza nei confronti del dettato evangelico forse più impegnativo, relativo alla necessità di essere nel mondo, ma di non appartenervi (Gv 17, 16). Papa Francesco sembra essere il provvidenziale uomo giusto, nel posto giusto al momento giusto. I Senatori della Chiesa hanno intronizzato un Sovrano che si sta dimostrando più realista del re, assolutamente condiscendente nei confronti delle grandi élites sovranazionali: filantropo, animalista, pacifista, ecologista, ecumenico.. In queste vesti sembrerebbe addirittura riecheggiare sinistramente l’Anticristo vagheggiato da Solov’ëv. Un testimonial esemplare per la promozione dell’imperante transumanesimo globale. Tra l’altro, il suo avvento ha visto contestualmente relegare nel dimenticatoio l’unico personaggio che a livello planetario rappresentava, con autorevolezza, un argine al caos galoppante. Attenzione, qui non si avanza dello spicciolo complottismo, Benedetto XVI ha rinunciato all’incarico, diciamo così, e dal Conclave immediatamente successivo è uscito vincitore il Cardinale Jorge Mario Bergoglio, tanto basti per non avanzare remore circa la legittimità dell’Elezione di questi. Anche un bambino però sarebbe in grado di cogliere una tanto lampante coincidenza.

Propongo adesso un altro breve estratto dell’intervento citato ad inizio articolo: «Il Cardinale Martini, nell’ultima intervista a pochi giorni della sua morte, disse parole che devono farci interrogare: “La Chiesa è rimasta indietro di duecento anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio?”». Dunque, Papa Francesco evoca l’illustre Porporato torinese che in vita fu membro dell’autoproclamatasiMafia di San Gallo” [16], [17], ed una delle asserzioni di costui più significative. “La Chiesa è rimasta indietro di duecento anni”, verrebbe da domandarsi rispetto a chi, o a che cosa. In realtà, risulta piuttosto chiaro quali siano gli aspetti cui queste parole facciano riferimento, in quanto il lasso temporale indicato lascia spazio a ben pochi fraintendimenti. Due secoli prima che Martini rilasciasse tali dichiarazioni l’Europa ed il mondo intero si trovavano nel pieno svolgersi di uno degli sconvolgimenti più epocali mai conosciuti, la grande stagione principiata col 1789, il cui brodo di coltura fu a sua volta preluso dall’avvicendarsi di speculazioni filosofiche progressivamente sempre meno teocentriche. I due centenni in questione hanno consegnato all’umanità il famigerato trittico libertéégalitéfraternité”, trilogo massonico per eccellenza, con tutto ciò che ne conseguì in termini di guerra aperta alla cristianità. Per quanto riguarda Santa Romana Chiesa, infatti, tale passaggio si tramutò nel sistematico tentativo di minarne le fondamenta dall’interno, con l’obbiettivo dichiarato di operare in essa una totale democratizzazione, una parlamentarizzazione, una sovietizzazione quasi; l’abbandono della dimensione verticale e trascendente a tutto vantaggio dell’orizzontalità più infima e meschina. Ciascuno giudichi per proprio conto se si sia riusciti o meno a conseguire tale finalità.

Chi però morisse dalla voglia di togliersi il dubbio potrà trovare ausilio in un documento citato da così tante pubblicazioni che indicarne i relativi rimandi potrebbe essere considerato superfluo. Queste sono le parole contenute in una “Istruzione” redatta da tal “Nubius“, pezzo grosso della Massoneria italiana di inizio ‘800, all’epoca intercettate e fatte pubblicare dai vertici vaticani: «[…] Quello che noi dobbiamo cercare ed aspettare, come gli ebrei aspettano il Messia, si è un Papa secondo i nostri bisogni. […] Con questo solo noi andremo più sicuramente all’assalto della Chiesa, che non cogli opuscoletti dei nostri fratelli di Francia e coll’oro stesso dell’Inghilterra. E volete sapere il perché? Perché, con questo solo, per istritolare lo scoglio sopra cui Dio ha fabbricato la sua Chiesa, noi non abbiamo più bisogno dell’aceto di Annibale, né della polvere da cannone e nemmeno delle nostre braccia. Noi abbiamo il dito mignolo del successore di Pietro ingaggiato nel complotto […]» [18]. Un Pontefice secondo le proprie necessità, a questo lavorano – lavoravano? – i circoli occulti dal momento stesso in cui si sono costituiti, giacché, ormai dovremmo saperlo, intento principale degli incappucciati di tutta la terra è proprio quello di distruggere la Sposa di Cristo. Non un Papa massone, dunque, e mi pare che in tal senso la ricerca storica non abbia raggiunto risultati soddisfacenti; bensì un Papa gradito alla Massoneria.

D’altronde, come leggere il “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune” [19], dichiarazione congiunta firmata ad Abu Dhabi il 4 Febbraio 2019 tra Papa Francesco e Ahmad AlTayyeb, Grande Imam di AlAzhar, se non in direzione di quella Religione Universale a lungo elaborata e propalata dalle logge più influenti?

Il Signore mi fulmini all’istante qualora io stia dando alla battitura delle elucubrazioni dissennate, irrispettose o peggio ancora deleterie, ma sono convinto del fatto che Papa Francesco non rappresenti altro che l’ultimo anello del processo intrapreso molti decenni or sono dalle forze avverse alla Cattolicità, aventi il mirino puntato sulla demolizione controllata della Roccia fondata sopra Simone il pescatore, la quale, nei piani di questi maledetti, dovrebbe avvenire per sfinimento, per usura delle cartilagini.

Con un decreto emanato in data 12 Marzo 2020, in seguito all’esplosione dell’emergenza legata al Coronavirus, il Cardinale Vicario Angelo De Donatis operava una serrata generale di tutti i luoghi di culto della Diocesi di Roma. «[…] Sino a venerdì 3 aprile 2020 l’accesso alle chiese parrocchiali e non parrocchiali della Diocesi di Roma, aperte al pubblico […], e più in generale agli edifici di culto di qualunque genere aperti al pubblico, viene interdetto a tutti i fedeli» [20]. Così recita il passaggio attraverso il quale in piena Quaresima nella Città di Pietro e Paolo si impediva ai seguaci di Cristo di accedere ai Sacramenti, di mettere piede in Chiesa.

Vero che già il giorno successivo si correva ai ripari, con una pezza forse peggiore del buco, ma tanta temerarietà non poté passare inosservata, e sicuramente non lasciò indifferenti. Né noi, né, presumo, chi di dovere.

A forza di inoltrare appelli all’apertura, all’uscita, all’accoglienza, all’inclusione, alla sinodalità, all’”integrazione delle fragilità”, mediante una eterogenesi dei fini che maggiormente paradossale non avrebbe potuto essere, l’”ospedale da campo” si è ritrovato a dover chiudere i battenti.

GRV

 

[1] http://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/december/documents/papa-francesco_20191221_curia-romana.html

[2] https://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20160319_amoris-laetitia.html

[3] https://www.youtube.com/watch?v=cQWlCMGkAgI

[4] https://www.youtube.com/watch?time_continue=1504&v=3Oi5YM-5VZs&feature=emb_title

[5] https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2018-10/papa-francesco-udienza-quinto-comandamento.html

[6] https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-06/papa-francesco-tweet-eutanasia-noa-pothoven-vincenzo-paglia.html

[7] http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/july/documents/papa-francesco_20160727_polonia-vescovi.html

[8] https://www.repubblica.it/vaticano/2015/10/02/news/papa_in_usa_ha_incontrato_una_coppia_gay-124187691/

[9] https://www.osservatoriogender.it/le-ambigue-dichiarazioni-papa-francesco-gender-omosessualita/

[10] https://lanuovabq.it/it/il-vaticano-scopre-una-nuova-missione-sostituirsi-allonu

[11] https://www.corriere.it/cronache/16_febbraio_08/francesco-il-mio-abbraccio-fratelli-ortodossi-739bf6ee-cdf6-11e5-9bb8-c57cba20e8ac.shtml

[12] https://www.bufale.net/questa-e-la-bonino-che-insegna-a-praticare-aborti-con-una-pompa-di-bicicletta/

[13] https://www.youtube.com/watch?time_continue=1340&v=ArKEnoG9JwM&feature=emb_logo

[14] Dall’Omelia tenuta da Papa Francesco durante la Messa mattutina presso Casa Santa Marta del 20 Dicembre 2013: «ll Vangelo non ci dice nulla: se [la Madonna, ndr], ha detto una parola o no.. Era silenziosa, ma dentro il suo cuore, quante cose diceva al Signore! “Tu, quel giorno – questo è quello che abbiamo letto – mi hai detto che sarà grande; tu mi hai detto che gli avresti dato il Trono di Davide, suo padre, che avrebbe regnato per sempre e adesso lo vedo lì!”. La Madonna era umana! E forse aveva la voglia di dire: “Bugie! Sono stata ingannata!”: Giovanni Paolo II diceva questo, parlando della Madonna in quel momento. Ma Lei, col silenzio, ha coperto il mistero che non capiva e con questo silenzio ha lasciato che questo mistero potesse crescere e fiorire nella speranza». Questo estratto, ed in particolare il passaggio “Bugie! Sono stata ingannata!” risultano oggi introvabili nei contenuti pubblicati dai canali ufficiali della Santa Sede, ma sono rinvenibili in molti altri spazi sul web, delle più disparate inclinazioni.

[15] https://www.ilgiornale.it/news/politica/ecco-papa-telematico-madonna-linfluencer-dio 1635172.html#:~:text=Maria%2C%20ricorda%20il%20Pontefice%2C%20%C2%AB,%C3%A8%20l’influencer%20di%20Dio!

[16] https://www.ilmessaggero.it/vaticano/danneelspapafrancescosangallo mafiapedofiliacardinale_ martini-4361318.html

[17] https://www.youtube.com/watch?v=aMAQEBQ_RMU

[18] Come scrivo nel corpo dell’articolo, si tratta di una citazione riportata in numerosissime opere. Tra le altre: Cristina Siccardi, “Don Bosco mistico. Una vita tra cielo e terra”, cap. 10. (La Fontanta di Siloe, 2013).

[19] http://www.vatican.va/content/francesco/it/travels/2019/outside/documents/papa-francesco_20190204_documento-fratellanza-umana.html

[20] http://www.diocesidiroma.it/decreto-del-cardinale-vicario-angelo-de-donatis-del-12-marzo-2020/

 

Christian Raimo, Indro Montanelli e Mario Mieli. Rettitudine a targhe alterne

Christian Raimo è Assessore alla Cultura presso il III Municipio di Roma capitale, è un insegnante di materie umanistiche alle scuole superioristoria e filosofia – ed un autore con diverse pubblicazioni alle spalle. Insomma, un intellettuale con una certa posizione. Negli ultimi anni ha inoltre collezionato un buon numero di presenze televisive presso alcuni dei più seguiti talk show di approfondimento politico, incasellandosi quasi naturalmente nella nutritissima formazione degli opinionisti organici, diciamo così, dei liberalprogressisti. Quelli “de sinistra”, per intenderci. A margine troverei poi meritevole di menzione la contingenza che lo vede prestare servizio presso una scuola cattolica paritaria, poiché questo stato di cose potrebbe essere di spunto per domandarsi quale criterio utilizzino i dirigenti degli istituti ad ispirazione cristiana, privati o meno che siano, per la scelta del proprio corpo docente.  Ma divagheremmo oltremodo.

In una di queste ultime ospitate [1], un paio di settimane fa, collegato con la trasmissione “Quarta Repubblica” su Rete 4, il pasionario de noantri si è trovato a discutere animatamente circa l’opportunità di coinvolgere il ceto intellettualoide italiota nelle rivendicazioni facenti capo al violento e trasversale movimento conosciuto con il nome “Black Lives Matter”, le quali partendo dagli Stati Uniti hanno adesso raggiunto, idealmente e non solo, buona parte del blocco occidentale. Ora, non è mia intenzione in questa sede analizzare quanto stia accadendo in giro per il mondo, statue abbattute, riferimenti culturali messi in discussione, simboli universalmente condivisi ridotti in poltiglia; ognuno maturi in merito il punto di vista che più preferisce. Ciò che invece avrei piacere di prendere in considerazione è la collaterale querelle legata alla questione Montanelli che sta tenendo banco in ogni dove. Infatti, i più elevati circoli mediaticogiornalistici di casa nostra che per sopravvivere debbono scimmiottare in tutto e per tutto le peggiori tendenze provenienti da oltreoceano hanno immediatamente individuato nella figura del fucecchiano defunto lo spauracchio da prendere a sassate per lavare la propria coscienza da un non meglio identificato senso di colpa che sembrerebbe attanagliarne i principali esponenti.

Il fu giornalista toscano è stato messo sul banco degli imputati perché, com’è più che risaputo, durante la guerra in Etiopia cui partecipò come volontario (19351936), attraverso l’istituto del madamato contrasse matrimonio con una ragazzina del posto, ragazzina che alcune fonti riportano avesse dodici anni, mentre altre quattordici. Non è un particolare da poco, perché se l’accusa che viene mossa al fondatore de “Il Giornale” dovrebbe essere, come in molti sostengono, quella di pederastia, allora sarebbe bene, tanto per dirne una, tenere conto del fatto che la legge italiana ancora oggi identifichi proprio con il compimento del quattordicesimo anno l’ingresso nelletà del consenso, quella cioè a partire dalla quale si dà per assodato che una persona sia in grado di agire consapevolmente riguardo a questioni disciplinate dalla legge, con evidente riferimento a quel che concerne i rapporti sessuali. Tra l’altro, detto fra le righe, l’Italia detiene da questo punto di vista uno dei limiti più bassi in assoluto, a dispetto del logorante ed insopportabile luogo comune che ci dipinge come un paese martoriato e tarpato dall’influenza cattolica. Sì.

Personalmente non sono tra quanti pensino che Montanelli sia scagionabile da simile taccia adducendo l’alibi relativo alle usanze tradizionali, né tantomeno quello che riguarda la tematica dell’“erano altri tempi”. La morale comunitaria di uno specifico contesto sociale cambia con l’avvicendarsi delle epoche storiche, delle influenze filosoficoetiche, dei passaggi generazionali. Vero, verissimo, innegabile; non per questo però si deve perdere di vista il discrimine tra bene e male. La legge naturale prescinde e trascende qualsiasi manifestazione del diritto positivo, se l’occorrenza che veda un adulto accompagnarsi sessualmente con un bambino è sbagliata, essa deve essere ritenuta inaccettabile oggi, nel 2020, così come nel 1935 o nel 1936, nel XV secolo o nel XV secolo AC. Mi sovviene alla mente in tal proposito un meraviglioso aforisma dell’Arcivescovo statunitense Fulton John Sheen, morto alla fine degli anni ’70 del ’900: “Moral principles do not depend on a majority vote. Wrong is wrong, even if everybody is wrong. Right is right, even if nobody is right”. I principi morali non possono dipendere da una estimazione soggettiva, dall’intersecazione di assiomi congiunturali, mutevoli, non imperituri. Se una determinata attitudine è oggettivamente biasimabile, lo è anche se tutti gli individui all’interno di un determinato raggruppamento pensino che non lo sia; così come se un’altra è invece obbiettivamente lodevole, encomiabile, salubre, deve potersi attestare come tale anche qualora nessuno si mostri convinto della sua bontà. Nel caso in cui Montanelli abbia avuto una relazione sessuale con una bambina, connubio o meno, ebbene compì un’azione estremamente grave, oscena, riprovevole, funesta, perniciosa, deleteria, irreparabile, più che ricusabile, lesiva della dignità e dell’innocenza di quell’infante, a prescindere dalla lettura che dell’atto daranno i codici di comportamento vigenti, siano quelli di cento anni or sono o quelli di oggi. Stante ciò, per inciso, la fattispecie della pedofilia e la plausibilità della sua chiamata in causa non potranno che passare in secondo piano, è materia per i giuristi, si tratta di una disputa che assume connotati diversi da ordinamento giuridico ad ordinamento giuridico, poiché ognuno di questi risulterà modellato su articolazioni non affini a quelle che caratterizzeranno gli altri. Il vero snodo della contesa consiste nel domandarsi quanta disparità di valutazione possa scaturire da una differenza di pochi mesi. Dodici anni, tredici anni e mezzo, quattordici.. Siamo sempre nell’ambito di una inaccettabile prevaricazione da parte dell’adulto, prevaricazione che legislatori e magistrati hanno l’obbligo di sanzionare severamente, il più severamente possibile, anche dimenticandosi delle garanzie e delle tutele troppo superficialmente riconosciute ai Caino di turno.

Ora, appurato questo, vengo all’aspetto che mi interessa maggiormente. Il Raimo, in preda ad una sorta di raptus giustizialista retroattivo, durante il dibattito moderato da Nicola Porro ha avuto modo di vomitare tutto il suo veleno nei confronti di Montanelli, definendolo senza remore “stupratore”, “pedofilo”, ”assassino” e non so cos’altro. Dunque, inveendo tanto assennatamente contro la pedofilia disposizione più che meritoria, s’intende -, non ha lasciato dubbi circa il suo disprezzo verso questa diabolica perversione, una delle devianze maggiormente deplorevoli, e non potremmo che convenire con lui.  A rigor di logica, quindi, come onestà intellettuale esige dovrebbe parimenti condannare e portare alla pubblica gogna tutti quei nauseabondi personaggi che pesati con la medesima bilancia sarebbe un eufemismo etichettare come degli abbietti, degli ignobili, degli indecenti, i quali invece sono a furor di popolo assurti al rango di riferimento esistenziale della compagine politicoideologica cui Raimo appartiene. Il primo di questa lista, evidentemente, non potrà che essere quel maledetto teorizzatore del libero amore tra e persone mature ed indifesi bimbetti che rispondeva al nome di Mario Mieli, cui le galassie omosessualiste tanto care al Professore hanno intitolato la principale agenzia tricolore di propaganda finocchiesca, il celeberrimo “Circolo Culturale Mario Mieli”. Costui, convinto del fatto che i pargoli anche della più tenera età dovessero esercitare la propria sessualità e liberarsi dai pregiudizi sociali, nel suo tristemente conosciuto “Elementi di critica omosessuale” del 1977 arrivò senza tanti fronzoli ad asserire che: «Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l’Edipo, o il futuro Edipo, bensì l’essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastranega, calando sul suo erotismo la griglia edipica. La società repressiva eterosessuale costringe il bambino al periodo di latenza; ma il periodo di latenza non è che l’introduzione mortifera all’ergastolo di una “vitalatente. La pederastia, invece, “è una freccia di libidine scagliata verso il feto”» [2]. Edificante, vero? Queste sono le divinità che compaiono nel Pantheon radical chic all’amatriciana, basta entrare a farvi parte per vedersi attribuite delle vesti candide ed immacolate anche se nel proprio cursus honorum compaiano le peggiori nefandezze; rimanerne interdetti, al contrario, equivale ad andare incontro alla dannazione eterna, soprattutto se le gesta compiute e le posizioni rivendicate dovessero rivelarsi invise ai “Padroni del discorso”. Ovviamente, l’accesso o meno in questa sorta di nuovo “Giardino dei Giusti” è rigidamente disciplinato secondo i canoni della nouvelle théologie radicallaicista fallolatrica.

La differenza di equilibrio che viene sistematicamente adottata per misurare l’operato in vita ed il lascito ai posteri di queste due come di tante altre personalità è specchio della malafede, dell’infima ipocrisia e della surrettizia mistificazione perpetrata dai custodi del pensiero contro la nostra coscienza pubblica.

Chissà se il buon Raimo avrà mai modo di infliggere alla figura di Mario Mieli la medesima damnatio memoriae comminata ad Indro Montanelli. Qualcosa mi dice di no. Sia mai che gli amichetti dell’altra sponda decidano di fargli passare un brutto quarto d’ora e, che so, il nostro dovesse incontrare delle difficoltà nella pubblicazione della prossima fatica letteraria.

GRV

 

[1] https://www.youtube.com/watch?v=f1iKJUJ5sHA

[2] “Elementi di critica omosessuale”, Torino 1977.

 

La Costituzione Civile del Clero 2.0

Dopo settimane di tentennamenti, tergiversazioni, bracci di ferro fittizi o realmente duellati tra i presunti contendenti, il Governo ConteCasalino ha deciso di concedere ai cattolici italiani il ritorno alla Celebrazione della Santa Messa, e dunque restituire alla Chiesa cattolica, seppur in minima misura, l’esercizio delle proprie prerogative. Si converrà piuttosto facilmente che quanti abbiano avvertito la trafiggente mancanza della Comunicazione con il Nostro Signore Gesù Cristo dovranno esultare festosi: evviva! I fidanzatini d’Italia residenti a Palazzo Chigi hanno avuto pietà di noi e ci hanno permesso di riavvicinarci al cuore pulsante della nostra Fede, quei Sacramenti senza i quali, molto semplicemente, non esisterebbe la vita cristiana. Non tutti i Sacramenti eh, s’intende. Un biscottino alla volta. Forse. Si vedrà.

Eppure, a ben vedere, anche un’analisi solo superficiale del documento faticosamente prodotto dal Ministero dell’Interno riguardante la “Graduale ripresa delle celebrazioni liturgiche con il popolo” [1] non potrà che suscitare il tetro prenunzio di una nuova, buia stagione all’interno del rapporto tra Stato e Chiesa. La firma apposta in calce al Protocollo d’intesa dal Cardinale Gualtiero Bassetti, capoccia della Conferenza Episcopale Italiana, congiuntamente a quelle del Presidente del Consiglio e della titolare del Viminale, evidenzia nitidamente una troppo colpevole accondiscendenza delle istituzioni ecclesiastiche nei confronti dei deliri di onnipotenza sempre più frequentemente latrati dai neomanettari dell’”Uno vale uno”, dell’”Onestà, onestà, onestà!” ed altri sanculottismi vari.

Ritengo doveroso cercare di comprendere se la Chiesa abbia avuto ragione ad esultare di un tale risultato, o se invece non sarebbe stato particolarmente opportuno combattere con differente foggia, con maggiore pugna, financo porsi in atteggiamento di aperta rottura con le autorità secolari al fine di ristabilire il giusto valore dei rapporti di forza; elargire a Cesare quanto a Cesare compete va bene, offrire incensature all’Imperatore e divinizzarne il simulacro no. Mai. Piuttosto il Martirio. “Usque ad sanguinis effusionem”, si sarebbe detto una volta, non a caso il Pontefice recita tale formula in direzione dei candidati durante la creazione di nuovi porporati, ed il rosso scarlatto che tanto vivacemente contraddistingue la veste di questi sta proprio a richiamare il liquido ematico che il Figlio di Dio per primo volle versare al fine di testimoniare la Verità, vale a dire Egli stesso.  Ma forse i Senatori della Santa Sede se ne sono dimenticati, probabilmente costoro ritengono primariamente necessario, sopra ogni cosa, evitare d’incrinare le relazioni diplomatiche con l’Esecutivo più anticristiano che l’ordinamento giuridico italiano abbia mai conosciuto, seppure l’adempimento di tale proposito dovesse arrecare del nocumento al popolo di Dio.

Perfino nelle condizioni più impari che si possano immaginare in termini di distribuzione del potere tra due parti avverse, la negoziazione politica, per quella che è la sua essenza, consente sempre all’attore maggiormente debole un margine di manovra piuttosto agile; nessuno rimane mai completamente soggiogato dal contenditore che gli si oppone, anche qualora questo vanti i migliori vantaggi. La partita giocata tra il Trono di Pietro e la Legislatura in carica ha invece prodotto un risultato che sarebbe eufemistico definire paradossale; il concorrente incomparabilmente più forte, da tutti i punti di vista, non si capisce per quale motivo ha deliberatamente deciso di calarsi le brache dinnanzi all’avversario. Le dinamiche che hanno determinato tale occorrenza, a mio modesto avviso, dovrebbero essere profondamente indagate. Governi al cospetto dei quali l’obbrobrio giallorosso risulterebbe più insignificante di una formica giammai osarono esercitare un decimo dell’arroganza manifestata dal Conte Bis verso la Sovranità della Chiesa, per quanto molti di questi, almeno in buona parte dei loro componenti, l’avessero in odio o comunque in antipatia. La storia repubblicana ha visto avvicendarsi nei gangli nevralgici della vita pubblica politicanti con un pelo sullo stomaco spesso quanto una cima nautica, ma nessuno di essi avrebbe mai azzardato una tanto boriosa ingerenza negli affari della Sede Vaticana, emergenza sanitaria o meno. Questa è l’ironia della storia, talvolta, dove i giganti non riescono, arrivano le pulci.

Andando a spidocchiare il contenuto della carta che da un paio di giorni viene strombazzata ai quattro venti dagli organi di stampa vaticani, si scoveranno dei passaggi nei quali anche un osservatore disattento faticherebbe a scorgere ragione di giubilo per chi si professi cristiano. Le immistioni cui essa dà vita sono a dir poco inaccettabili. Adesso è un Dicastero della Repubblica a stabilire le modalità di svolgimento con cui celebrare l’Eucarestia? Be’, già che ci sono, riscrivano il Messale! Addirittura si prevede, al paragrafo 1.3, che «L’accesso alla Chiesa [..]» debba essere «[..] regolato da volontari e/o collaboratori che – indossando [..] un evidente segno di riconoscimento [..] vigilano sul massimo di persone consentite». Immaginiamoci allora dei solerti ed accigliati intendenti i quali, agghindati d’una pettorina sul busto che riporti l’emblema stellato con i rami di olivo e quercia, facciano avanti ed indietro lungo le navate laterali della vostra Parrocchia per controllare che la funzione domenicale si svolga secondo le prescrizioni ufficiali. Ma è esattamente quanto accade nella deplorata Cina comunista! Allora si faccia così, visto che siamo arrivati ad instaurare una Chiesa Patriottica all’italiana, dateci anche la Dittatura. Almeno, forse, in ambito civile qualcosa inizierà a funzionare. Le vette più alte però credo vengano raggiunte dal paragrafo 5.2: «Si ricorda la dispensa dal precetto festivo per motivi di età e di salute». Non so se è chiaro. Il Ministero dell’Interno rivanga ai cattolici quale condotta debbano tenere in materia di Fede. Sorvolo poi sulla considerazione che questa manica di senza Dio ha riservato al Corpo del Signore, ché altrimenti inizierebbero a prudermi le mani.

Ora, evitando di addentrarci nella questione riguardante l’inadeguatezza individuale e personale dei vertici clericali italiani, sarebbe cosa buona e giusta proporre un semplice quesito. Che ne è della “Libertas Ecclesiae”? Dov’è andato a finire quel principio oggi immolato sull’altare dell’ateizzazione sistematica ma gagliardamente difeso in un passato di cui la Barca di Pietro si vergogna? L’Arcivescovo di Perugia ha deciso di barattarla con il riconoscimento all’esclusiva sui principali appalti legati al grasso traffico dell’accoglienza? Rappresenta una mera coincidenza il fatto che, contemporaneamente alla pubblicazione dell’atto riportato, Bassetti si sia espresso con tanta enfasi in favore dell’ormai famigerata proposta avanzata dal Ministro Bellanova relativa alla regolarizzazione di caterve e caterve di clandestini [2]? Oppure si tratta semplicemente della sciatta e blasfema concezione che la Chiesa Cattolica vuole dare di sé nel III millennio, quella di un’istituzione terrena che non abbia più a che fare con la Trascendenza, il Soprannaturale, la tendenza verso il Cielo, ma sia invece appiattita su tematiche di carattere esclusivamente politico, una sorta di grande ONG dedita all’assistenzialismo ed alla promozione della Religione Laica? Perché Vescovi, Cardinali e lo stesso Papa non oppongo resistenza alcuna alla deriva in essere?

In seguito alla dirompente deflagrazione della seconda Rivoluzione, quella detta “Francese”, l’Assemblea Nazionale Costituente che di fatto prese in mano le redini degli sconvolgimenti in corso non impiegò molto tempo a palesare quale fosse il vero motore che animava il furore liberticida degli insorti: il disamore verso la Monarchia ed il sistema socio-economico vigente, senza dubbio, ma anche se non soprattutto un odio a dir poco viscerale avente come oggetto la Chiesa cattolica, il Cristianesimo, la Civiltà Cristiana. Nel 1790, per regolamentarne la vita sul territorio francese, venne varata la celeberrima “Costituzione Civile del Clero”, che senza mezzi termini ne pose i destini sotto il controllo dello Stato. Vescovi e Parroci venivano eletti dalle assemblee legislative di ciascun Dipartimento, ed ogni sacerdote, in soldoni, divenne un funzionario pubblico obbligato a giurare fedeltà alla Costituzione. Prima di ciò, giusto per preparare il terreno, gli Ordini Religiosi che non si dedicassero all’insegnamento o all’assistenza degli indigenti erano stati perentoriamente sciolti, i beni della Chiesa nazionalizzati e le terre di sua proprietà confiscate. Furono tanti i preti che si ribellarono, e per questo pagarono amaramente, spesso con la vita. Questi vennero con disprezzo definiti “refrattari”, mentre gli altri, quelli che invece non ebbero problemi ad adattarsi al nuovo corso, erano i “costituzionali”.

Considero piuttosto indovinato il parallelismo tra quella parentesi e quanto sta oggi avvenendo in Italia, perché, forse i più non se ne rendono conto, anche per via delle deturpazioni interne alla Sposa di Cristo la Fede sta conoscendo in questo tempo una persecuzione ideologica molto violenta, strisciante, a tratti impercettibile, ma molto molto incisiva.

Se allora però in Francia a squadernare l’Ordine voluto da Dio furono assoldati dei diabolici giacobini assetati di sangue, oggi l’Epicentro mondiale della Cattolicità è messo sotto attacco da una manciata di pusillanimi. Il CentroDestra della Rivoluzione.

GRV

 

[1] https://www.chiesacattolica.it/dal-18-maggio-celebrazioni-con-il-popolo/

[2] https://www.huffingtonpost.it/entry/lappello-del-presidente-della-cei-bassetti-regolarizzare-tutti-i-60mila-lavoratori-immigrati_it_5eb2f493c5b66f94a2e71337

L’endemica inimicizia degli italiani

Le principali solennità che la Religione Civile di casa nostra ha imposto con inusitato impeto ideologico alla malandata coscienza degli italiani sono due. La prima viene officiata ogni stramaledetto 25 Aprile che Iddio Onnipotente ci concede la Grazia di sopportare, la seconda poco meno di un mese e mezzo dopo, il 2 Giugno, anch’essa condita da un carico irrespirabile di logorante ed inutile retorica. Da parte mia, per tutta una serie di contingenze che credo oramai non sfuggano più a nessuno, ho da tempo preso a nominare scherzosamente “Celebrazione dell’occupante” quello che ci viene propinato come l’anniversario della Liberazione e “Festa dell’Imbroglio” il giorno in cui si commemora lo storico Referendum del ‘46 che portò alla nascita della Repubblica.

Per completezza di concetto trovo inoltre sia d’uopo riportare come da diversi ambienti avanzi una linea di pensiero secondo cui si attesterebbe l’inderogabile necessità di aggregare a questa formidabile coppia un terzo elemento, il 4 Novembre e la sua pomposissima “Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate” la quale, in soldoni, avrebbe a che fare con la vittoria italiana nella prima guerra mondiale. In questo modo si costituirebbe una sorta di trinità pseudo sacrale avente come obbiettivo portare a compimento la celeberrima esortazione attribuita al d’Azeglio, relativa al categorico ed indifferibile imperativo di “Fare gli italiani“. Quasi che prima del processo unitario la penisola fosse rimasta disabitata per tre millenni.

Già odo le rimostranze isteriche dei neounitaristi più disparati, mameliani indefessi e garibaldini d’assalto; tranquilli, cari romantici appassionati, chi scrive è innamorato dell’Italia quanto voi, forse di più, e proprio in virtù di questo trova a dir poco esecrabile il nucleo ideale che ha fondamentalmente plasmato tutta l’avventura risorgimentale, vale a dire l’assunto per cui l’impellenza dell’unificazione geopolitica ed istituzionale degli stati preunitari fosse data dalle miserrime condizioni economicostrutturali che questi offrivano alle proprie popolazioni. Stando a tale vulgata, infatti, fino almeno all’età delle rivoluzioni quanti avessero avuto la ventura di abitare nei territori insiti tra le Alpi e la Sicilia sarebbero stati schiacciati per secoli da un giogo straziante, esiziale, composto dalla guida spirituale della Chiesa Cattolica – non solo spirituale all’interno dello Stato Pontificio – e dai codici dalla società tradizionale.

Questa è un’aberrante mistificazione storica, confutata da una saggistica oggi piuttosto nutrita, ed a mio modo di vedere non fa altro che brutalizzare barbaramente il rapporto intragenerazionale esistente tra noi e l’immenso lascito che abbiamo piuttosto indegnamente ricevuto in dote dai nostri predecessori. Sembra quasi non debba esservi memoria di quanto sia stato nel Bel Paese prima del XIX secolo, ivi comprese le inarrivabili altezze raggiunte dalla civiltà italiana per duemila anni in tutti i campi dello scibile, delle arti e dell’ingegno umano.

Fatico a non scorgere in tale occorrenza una precisa volontà politica, particolarmente riscontrabile nei contenuti dei manuali scolastici e perfino, il più delle volte, in quelli universitari maggiormente omologati; in essi l’analisi di ciascun centennio che preceda il 1800 viene pressoché regolarmente inquadrata in una chiave prettamente sfavorevole: il ‘700 ed i lumi che finalmente liberarono le masse papiste dalle loro superstiziose credenze, il ‘600 ed il ‘500 sotto la pesante cappa controriformistica, per non parlare poi del Medio Evo, vera e propria cloaca maxima di tutta la cronologia universale. Un poco ci si salva con i fasti repubblicanoimperiali a cavallo tra prima e dopo Cristo, poiché i richiami alla gloria di RomaMussolini docet – effettivamente rappresentano una carta sempre ed ovunque spendibile.

Risulta dunque evidente come, da un certo punto in avanti, si sia voluta operare una violenta cesura nel sentire generale delle comunità italiche, nel loro patrimonio spirituale ed in quello che volendo stare al passo coi tempi potremmo definire il nostro “background culturale”. Questa frattura, di fatto, è all’origine di tutte le fazioni che hanno animato, dividendoli truculentemente tra loro, i “nuovi italiani” dell’età contemporanea. Pur tenendo conto di tutte le sfumature del caso, partendo dall’essere ed andando a ritroso credo che le diadi appena chiamate in causa possano essere velocemente schematizzate attraverso le categorie che seguono: sovranisti e globalisti, berlusconiani ed antiberlusconiani, democristiani e comunisti, monarchici e repubblicani, partigiani e repubblichini, fascisti ed antifascisti, liberali e socialisti, “piemontesi” e sanfedisti, giacobini ed insorgenti.

Ma dove, quando e perché tutto questo carico di avversione, di risentimento apparentemente insanabile ha visto la luce?

Il Professor Massimo Viglione, storico della filosofia e studioso dei fenomeni controrivoluzionari, in un saggio dato alle stampe nel 2016 (“Il destino dell’Italia”, edizioni Radio Spada) [1] arriva ad asserire che «[…] con il 1796 iniziò qualcosa di fondamentale importanza, un evento che ha mutato per sempre la storia e il modo di pensare e vivere degli italiani. Iniziò la “Rivoluzione Italiana” attiva, militare e militante. Nel 1796 un uragano storicopoliticomilitare e, soprattutto, religioso, si abbatté sulla Penisola dopo secoli di pace, portando con sé la più grave delle eredità: la divisione e l’odio ideologico» [2]. Continua poco più avanti «[…] gli italiani erano in pace effettiva (tranne alcune delimitate zone settentrionali coinvolte loro malgrado nelle guerre delle grandi potenze straniere) dai tempi delle Guerre d’Italia, cioè da tre secoli, e, soprattutto, erano idealmente uniti dal Medioevo; e, in realtà – a parte la divisione “guelfoghibellina“, che comunque non implicava una reale spaccatura ideologica nel senso moderno e rivoluzionario del concetto, in quanto né i guelfi né i ghibellini volevano sovvertire l’ordine costituito – essi erano unitida sempre“, nel senso che mai prima del 1796 avevano conosciuto l’odio della divisione ideologica. Nemmeno quella religiosa del XVI secolo, visto che la Penisola rimase estranea al protestantesimo» [3].

Il 1796 è l’anno fatidico, il punto di svolta, lo spartiacque della nostra storia. Un trauma mai elaborato. Il 1796 apre la Rivoluzione Italiana, primogenita di quella Francese, fenomeno che condurrà i figli di Giulio Cesare, San Benedetto, Dante Alighieri e Caterina da Siena ad odiarsi visceralmente, come mai accaduto prima. E ancora di più questo sarebbe valso in seguito alle implicazioni ed agli sviluppi che da tale mutamento trassero origine, attraverso un vortice che come una slavina aumenti di volume con il solo procedere, fino ad assumere un’entità dinnanzi alla quale non si possa che venire travolti. Un tumulto inarrestabile che si dipana sotto i nostri occhi da oltre duecento anni.

Gli eserciti napoleonici porteranno con sé furti, profanazioni di chiese, vilipendio di reliquie sacre, stupri sistematici, omicidi sommari, eccidi generalizzati, ovunque morte e distruzione, tutto nel diabolico tentativo di ribaltare l’assetto cristiano della società italiana. Non si trattò solamente di un mero progetto di conquista animato da velleità imperialistiche, ma del tentativo deliberato di cancellare scientificamente dal nostro suolo patrio la Fede in Gesù Cristo e la cattolicità. È a dir poco incredibile quanto le reazioni che tali catastrofici accadimenti suscitarono siano quasi del tutto assenti dalla nostra memoria collettiva, ed ancor più colpevolmente dall’insegnamento che viene elargito ai nostri figli. Mi giocherei un occhio della testa sul fatto che nessuno studente tra primaria e secondarie abbia la minima idea di cosa furono le insorgenze antifrancesi, benché tali sollevazioni portarono più di 300.000 italiani a prendere le armi per opporsi all’invasione straniera, e più di 100.000 a morire. Non sono numeri ed avvenimenti che meriterebbero una menzione nei programmi ufficiali redatti dal Ministero della Pubblica Istruzione?

Non ho mai digerito il tediosissimo stereotipo che ritrae gli italiani come cronicamente incapaci di conciliazione, faziosi all’inverosimile, disaccordi su qualsivoglia argomento, quasi schizofrenici; passi il campanilismo, tratto distintivo di cui siamo addirittura gelosi, ma la patologia dissociativa no. Parlare degli abitanti dello Stivale talvolta pare equivalga a tratteggiare la indole di una comunità priva financo del benché minimo idem sentire, mentre a bearsi e riempirsi la bocca con ogni amenità riconducibile al pur abusatissimo concetto di “popolo” puntualmente troviamo delle compagini che impallidirebbero se dovessero comparare il destino comune che li caratterizza con quello che ha forgiato noi. Ma se è questa la nomea che abbiamo, se così veniamo dipinti, è perché in tal guisa la prosopopea risorgimentale, discendete diretta del 1796, ha voluto convincerci di essere. «Noi fummo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi» [4], stanno davvero così le cose? No, è una colpevole ed inaccettabile menzogna. Gli italiani erano già uniti, ben prima del 1861, eccome se lo erano, da tempo immemorabile. Non dal punto di vista statuale, evidentemente, ma senza dubbio alcuno per quanto riguarda l’aspetto etnicoculturale, a conti fatti ben più importante. Pur con tutte le nostre affascinanti differenze particolaristiche eravamo già “Nazione“, grazie ad un certificato di nascita conferitoci da una vicenda storica che francamente ignoro quante altre popolazioni possano vantare.

L’inimicizia che per onestà intellettuale dobbiamo ammettere oggi contraddistingua nettamente gli italiani non è un tratto peculiare inscritto nel nostro retaggio genetico, è un fattore posticcio, artificiale, in fin dei conti di recentissima attribuzione. Dovremmo profondere tutto l’impegno di cui disponiamo nel tentativo di sbarazzarcene, opponendo alla Rivoluzione Italiana una Controrivoluzione che sia degna di tale appellativo.

GRV

 

[1] https://www.lafeltrinelli.it/libri/massimo-viglione/destino-italia-dalla-rivoluzione-unitarista/9788898766314?productId=9788898766314

[2] Massimo Viglione, “Il destino dell’Italia”, Reggio Emilia 2016 (pag. 83).

[3] Ibidem

[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Il_Canto_degli_Italiani

 

 

 

La più ignobile e pericolosa bufala in circolazione: l’escalation della violenza sulle donne

Copio ed incollo, senza modificarne neanche una virgola, uno stralcio estratto dall’interessantissimo articolo intitolato “La calunnia del femminicidio”, pubblicato nell’Agosto del 2013 sul blog “Violenza.familiare.blogspot.com” [1]. Aggiungo di mio pugno solamente il numero delle note a pie’ di pagina che rimandano alle fonti citate dall’estensore.

«La realtà dei [..] dati [..] ONU [2011 Global Study on Homicide, UNODC Homicide Statistics] [2, nda] è che: l’Italia è uno dei paesi al mondo con il più basso tasso di omicidi femminili5 per milione all’anno, circa la metà che nei nostri paesi confinanti (9 per milione per anno in Francia, 7 in Svizzera, 13 in Austria…). Fra i grandi paesi, solo Giappone, Irlanda e Grecia hanno tassi minori. Una donna italiana ha, in tutta la sua vita, una probabilità dello 0.05% di subire un omicidio. Se non ci fossero altre cause di morte, una donna vivrebbe in media 200mila anni prima di subire un omicidio. [..] Il numero di donne che si suicidano (22 per milione per anno) è più del quadruplo di donne vittime di omicidio.  Nessuno parla di “auto-femminicidio”.  Unico vero numero da strage è quello dei bambini abortiti (7800 per milione di donne per anno, per un totale di 5 milioni dal 1982 ad oggi nella sola Italia). In Italia il tasso di omicidi maschili è di 16 per milione all’anno, cioè vengono uccisi più di 3 uomini per ogni donna uccisa. Sia uomini che donne uccidono in prevalenza uomini: circa 400 ogni anno.  Le donne assassine uccidono nel 39% dei casi donne, e nel 61% dei casi uomini.  Gli uomini assassini uccidono nel 31% dei casi donne, e nel 69% dei casi uomini. [Ministero dell’Interno, Rapporto sulla Criminalità, “Gli omicidi volontari”, Tabella IV.18, “Genere della vittima secondo il genere dell’autore di omicidio commesso in Italia tra il 2004 e il 2006”] [3, nda]. Ricerche criminologiche indicano che il numero di donne assassine è sottostimato in quanto le donne hanno maggiore tendenza a commissionare omicidi e ad uccidere avvelenando. Nessuno parla del “maschicidio”. In Italia il tasso di suicidio di uomini separati è di 284 per milione all’anno [Dati EURES 2009] [4, nda]. Nessuno ne parla, sebbene si tratti di una vera strage di stato: il tasso di suicidi si quadruplica con la separazione, anche a causa delle sentenze che privano i papà dei loro figli, della loro casa, del loro reddito».

Questa prima panoramica potrebbe già essere sufficiente per prendere contatto con lo stato delle cose. Ciò non bastasse, le ultime indagini fatte uscire dal Ministero dell’Interno relative ai primi nove mesi del 2018 confermano abbondantemente il quadro appena tracciato ed anzi ne accentuano i connotati, indicando che, rispetto agli anni precedenti, sono in diminuzione non solo il numero secco di donne assassinate, ma anche la conta di quei casi oggetto di attenzione da parte delle forze dell’ordine che vengono definiti “femminicidi”. La stessa Polizia di Stato poi, sempre in relazione alla sottocategoria analizzata, tiene a specificare che il vocabolofemminicidio”, cioè «L’uccisione di una donna da parte di un uomo proprio in quanto donna, come atto di prevaricazione», non debba essere considerato un termine giuridico, perché non lo è, ma semplicemente un’espressione di uso comune. Ancora, nonostante vi si faccia riferimento in continuazione, tanto da essere divenuto uno dei temi più trattati da telegiornali e quotidiani, a tale fenomeno è possibile far risalire la porzione minore di tutti gli omicidi che abbiano avuto come vittima una donna registratisi in ambito familiare nei primi mesi dell’anno, in quanto quasi sempre dietro tali efferatissimi atti ci sono state motivazioni di carattere economico, o comunque altro tipo di dinamiche. Per la precisione, vi rientrano 32 dei 94 ammazzamenti sbandierati ai quattro venti da associazioni ed attiviste varie, come fossero un trofeo da esibire. Infine, nello stesso lasso di tempo s’è notevolmente assottigliato anche il computo dei cosiddetti “reati spia”, quelli cioè riguardanti i maltrattamenti in famiglia, lo stalking, le percosse e le violenze sessuali. Strano a dirsi, vero? Ad ascoltare i belati delle varie Asia Argento, Laura Bolrdini, Michela Murgia e compagnia cantante sembrerebbe sia in essere una sorta di mattanza. Eppure, tutto ciò è riscontrabile nella lettura di un documento pubblicato sul portale web del Viminale [5].

Per arrivare al punto, numeri alla mano non esiste alcuna emergenza, nessun particolare aumento della violenza sulle donne s’è ultimamente verificato e, addirittura, i dati e le statistiche disponibili attestano quanto in Italia rispetto a questa odiosa inclinazione si rilevi un notevole ridimensionamento nei confronti di un passato recente nel quale comunque già ci si affermava su una criticità assai esigua, soprattutto comparando la corrispondente ricerca con quelle riguardanti altre compagini etnico-culturali. Europee e non. Il nostro Paese è tra i più sicuri in assoluto per le condizioni del gentil sesso, a dispetto di una pregiudizievole vulgata che invece lo ritrae come una sorta di inferno sulla terra per il genere femminile. Nazioni che ignoro per quale motivo vengano considerate più civili della nostra risultano essere infinitamente più inguaiate da questo punto di vista. Sempre in merito all’Italia, per chiudere il cerchio mi vedo costretto ad aggiungere una ulteriore asserzione, peraltro di facilissima constatazione. Aggressioni e stupri nei confronti della rappresentanza femminea vedono un’incidenza percentuale a dir poco esorbitante degli individui allogeni rispetto al totale della popolazione residente.

Basterebbero queste poche considerazioni per rendersi conto di quanto il clamore con cui viene accompagnata ogni argomentazione avente come oggetto la sensibilizzazione dell’opinione pubblica in merito alle manifestazioni di coercizione subite dall’universo muliebre svolga una funzione di carattere esclusivamente ideologico, e venga utilizzata come strumento politico. Non credo sia necessario starlo ad esplicitare, ma per fugare qualsiasi possibile dubbio voglio asserire con fermezza quanto ritenga deprecabile e ripugnante un uomo che faccia leva sulla propria superiorità fisica per aggredire una donna, sottometterla, soggiogarla, molestarla, percuoterla, nelle peggiori delle ipotesi violentarla od ucciderla. Si tratta di un’attitudine vile, meschina, bestiale. Ora però, risulterebbe evidente a chiunque quanto un martellamento mediatico tanto massiccio come quello al quale stiamo assistendo sia tutt’altro che in linea con le dimensioni del fenomeno cui fa riferimento. Perché?

Il percorso di destrutturazione del genere maschile sta avanzando ad un ritmo preoccupante, e sembra non incontrare ostacolo alcuno sul proprio cammino. La puntigliosa colpevolizzazione dell’uomo e la denigrazione sistematica del padre come figura archetipica sono propedeutiche alla realizzazione di un obbiettivo oramai impossibile da nascondere, vale a dire la completa, totale, assoluta, incondizionata distruzione dell’autorità, l’eliminazione di tutto quanto con essa possa essere identificato. Ciò emerge con particolare chiarezza se si conferisce la giusta attenzione a due elementi ben precisi: la femminilizzazione e l’omosessualizzazione del maschio che i circoli dell’intellighenzia più influenti non mancano occasione di celebrare e prima ancora di promuovere, attraverso una nauseabonda promiscuità affettiva e sessuale rifilata in ogni dove, dal mondo dello spettacolo a quello della letteratura, del cinema, della moda e chi più ne ha più ne metta. È il libertinaggio esaltato a stile di vita, la licenziosità come unico valore, il “vietato vietare” di sessantottina memoria che è finalmente riuscito ad entrare nella mente di ciascuno, e che oggi, a quanto pare, è ben veicolato da questa micidiale offensiva operata contro gli esponenti del sesso forte.

In caso qualcuno ancora nutrisse dei dubbi in merito avrà sicuramente possibilità di ricredersi prestando orecchio ad alcuni passaggi della dichiarazione rilasciata dal Presidente Sergio Mattarella in occasione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne” il 25 Novembre, appena tre giorni fa [6]: «[..] Vanno superate discriminazioni, pregiudizi o stereotipi sui ruoli e sulle attitudini basati sull’appartenenza di genere, iniziando dall’infanzia e in particolare dal mondo della scuola [..]. La prevenzione avviene soltanto continuando ad operare per una profonda trasformazione culturale». La poca acutezza di cui dispongo m’è comunque sufficiente per intuire che quando la prima Carica dello Stato arrivi a scomodare un tanto solenne richiamo alla “trasformazione culturale” in pentola stia bollendo qualcosa di davvero scottante. D’altronde, anche gli accenni all’“infanzia” ed “al mondo della scuola” hanno un significato di difficile equivocabilità. Il Presidente della Repubblica l’ha praticamente messo nero su bianco, prepariamoci, il grande corpus delle nuove verità ufficiali con le quali i nostri figli dovranno essere indottrinati è stato completato con un ulteriore tassello. Gli uomini? Violenti e sopraffattori per assetto genetico. La mascolinità? Una predisposizione inopportuna ed irresponsabile, già negli albori della propria strutturazione congenita.

Tale infame messaggio in fin dei conti viene promosso senza tanti problemi anche dall’universo intellettualoide-intrattenimentistico, giacché, in Italia, il livello del pubblico dibattito ha raggiunto una tanto scadente bassezza da portare queste due dimensioni a convergere, coincidere, sovrapporsi l’una all’altra. Fatta eccezione per qualche pur lodevole accenno di protesta, nessuna particolare levata di scudi ha visto seguire la vergognosa performance di Angela Finocchiaro alla “Tv delle ragazze”, programma condotto da Serena Dandini su Rai 3. Nella puntata di mercoledì 14 Novembre è andato in onda un contributo registrato avente come protagonista l’attrice milanese. Costei, attorniata da un gruppetto di bambine, ha avuto l’intelligentissima pensata di dichiarare loro «Ricordatevi sempre, che gli uomini son dei pezzi di merda». Non contenta, ad una di queste che candidamente le domandava «Anche il mio papà?», la nostra ha risposto «Soprattutto il tuo papà!». Oh, quale aulica ironia, quanta esilarante genuinità! Un momento di televisione che senza dubbio alcuno entrerà ad imperitura memoria negli annali del piccolo schermo. Adesso, facciamo caso che uno degli scadentissimi pseudocabarettisti del panorama nazionalpopolare avesse a disposizione uno spazio altrettanto privilegiato nel quale chiacchierare con degli infanti di sesso maschile e decidesse di dire loro qualcosa come “Bambini, ricordate, tutte le donne sono delle troie. Specialmente le vostre mamme!”. Come andrebbe a finire la storia? Quale epilogo possiamo paventare? Non credo sia un eccesso di fantasia immaginare la fazione facente capo al fondamentalismo progressista invocare a gran voce l’intervento della Magistratura per lasciare in mutande il povero malcapitato, o financo appellarsi alla deliberazione dello stato di guerra da parte del Parlamento.

La realtà dei fatti ci dice che tanto sul piano politico-istituzionale quanto su quello culturale-propagandistico sia in atto uno spiegamento di forze a dir poco ciclopico, animato da prerogative diaboliche. Per contrastarlo  tutti noi dobbiamo impegnarci alla lotta, ciascuno con le armi e le possibilità che gli sono proprie. Le spregevoli menzogne cui dobbiamo far fronte coprono differenti ordini di prospettiva, accomunati dalla medesima finalità: portare a termine la soppressione delle identità, delle specificità, dei caratteri peculiari che da sempre connotano, distinguendoli, i diversi raggruppamenti umani, per dar vita ad un unico, obbrobrioso ed informe agglomerato.

Tra fascistometri, panchine rosse ed hashtags arcobalenati appare evidente quale sia il combattimento al quale siamo chiamati. Femminismo, omosessualismo ed antifascismo sono le tre belve feroci che oggi si frappongo tra la società umana e l’ordine naturale. Ordine naturale che necessita con inderogabile impellenza d’un principio di autorità a protezione delle proprie fondamenta, principio d’autorità il quale, a sua volta, per sussistere esige il trionfo della Verità, oggettiva ed incontestabile, sulla relativizzazione imperante.

La battaglia che la nostra generazione deve condurre e portare a termine è quella contro la dittatura del relativismo.

GRV

 

[1] https://violenzafamiliare.wordpress.com/2013/08/19/la-calunnia-del-femminicidio/

[2] http://www.unodc.org/gsh/en/data.html

[3] http://www1.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/14/0900_rapporto_criminalita.pdf

[4] https://www.eures.it/upload/doc_1305878239.pdf

[5] http://www.interno.gov.it/it/notizie/questo-non-e-amore-polizia-nelle-piazze-italiane-contro-violenza-sulle-donne

[6] https://www.quirinale.it/elementi/19238

[7] https://video.panorama.it/news-video/angela-finocchiaro-gli-uomini-pezzi-merda-video/

Di Battista ha ragione, i giornalisti italiani sono delle grandissime puttane

Non esiste categoria maggiormente autoreferenziale, tronfia, fatua, vanesia, piena di sé. Arroganti, sgradevoli, spocchiosi, a tratti insopportabili. Quante volte li abbiamo ascoltati erudirci in merito al fatto che mettere in discussione l’operato da essi svolto equivarrebbe ad esercitare della violenza? Ammonire chiunque si fosse azzardato a metterne in dubbio le ricostruzioni? O addirittura minacciare con immotivata aggressività quelle vittime dei loro dileggi che avessero osato difendersi? Per non parlare poi della colpa più grande di cui si macchiano senza il minimo ripensamento, vale a dire la sistematica mistificazione della realtà. Sì, i giornalisti italiani sono delle grandissime puttane. Dirò di più, se io fossi una meretrice troverei profondamente offensivo esser loro paragonato. M’indignerei.

Non ho alcuna intenzione di entrare nella disputa che intercorre tra i grillini e la stampa italiana, o nella questione inerente il processo istituito ai danni di Virginia Raggi che l’ha, di fatto, originata. Ancora meno mi interessa, in questo caso, evitare di cedere all’errore nel quale gli esseri umani incappano più frequentemente, e cioè la generalizzazione. Sì sì, per carità, lo sappiamo, i giornalisti non sono tutti uguali. Così come non sono tutti uguali tra di loro i panettieri, gli idraulici o le massaie. Perfetto, abbiamo in tal modo adempiuto al compitino quotidiano impostoci dal nuovo codice di comportamento rispondente ai dettami del politicamente corretto. Oggi però voglio avere la libertà di abbandonarmi ad un poco di superficialità, e fare di tutta l’erba un fascio.

Anche io, come Di Battista, potrei senza tanti problemi stilare una lista nella quale enumerare i nomi di reporter, corrispondenti, cronisti ed opinionisti che seguo quotidianamente, con avidità e sincera ammirazione, perché sono dei professionisti esemplari, preparati e, attitudine forse addirittura più importante, intellettualmente onesti. A fronte di ciò però mi vedo costretto ad una constatazione che ritengo difficilmente confutabile. Non tutti abbiamo la possibilità di approfondire con dovizia e rigore la comprensione degli accadimenti che giorno dopo giorno interessano il globo, utilizzando strumenti idonei per cogliere la portata delle trasformazioni sociali ed economiche in essere, facendo ricorso ad una gamma di fonti particolarmente variegata. Questa è materia per gli addetti ai lavori, la maggior parte di noi non può far altro che cercare di stare sul pezzo quasi esclusivamente tramite la fruizione di giornali e televisione. E qui casca l’asino. Non credo sia necessario stare ad esplicare quali siano le dinamiche legate ai vari interessi di consorteria che indirizzano le tendenze di questo o quel quotidiano, di tale o talaltro spazio di analisi sul piccolo schermo, sarebbe sufficiente considerare le connessioni esistenti tra grandi gruppi editoriali, mercato delle telecomunicazioni, aggregazioni industriali e segmenti del mondo finanziario e bancario. Dunque, qualcuno davvero sarebbe disposto a credere che quanti scrivano per le principali testate nazionali o si esprimano sulle reti commerciali con maggiore audience siano esenti dai rispettivi richiami di scuderia?

Inoltre, come se ciò non bastasse, qualora ci si azzardi ad avanzare delle perplessità circa l’indipendenza professionale di costoro le obiezioni che essi presentano a propria difesa vanno a pescare nel torbido di una retorica che sul pubblico uditorio vanta sempre una certa presa. L’appello a formulazioni quali “cani da guardia del potere”, “sentinelle del pluralismo”, “custodi della libera espressione” ed altre simili amenità fa sì che alla fin fine i nostri riescano sempre a sfangarla, impersonando un vittimismo a dir poco pietoso quando vengono messi di fronte alle responsabilità che su di essi gravano. È in questi casi che parte il micidiale pistolotto avente come contenuto un’argomentazione volta a celebrare la funzione sociale coperta dall’attività giornalistica, che sembrerebbe essere secondo questa vulgata la quintessenza dell’integrità, professionale ed umana, la massima altezza che l’homo sapiens possa raggiungere. Personalmente posseggo una scala di valori diametralmente opposta.

Qualche settimana fa, durante una puntata di “Circo Massimo” [1], il programma condotto da Massimo Giannini su Radio Capital, mentre si discuteva della riforma inerente la direttiva europea sulla difesa dei diritti d’autore la penna più nota di “la Repubblica” ebbe a sentenziare che «L’informazione deve costare, una buona informazione deve costare. Anche questo è a tutela della Democrazia». Ora, io ho da tempo deciso di sposare quel filone ideale che il Professore Domenico Fisichella ha pensato di raccogliere sotto la dicitura “Le ragioni del torto”, cioè, in soldoni, un impianto fortemente critico verso il sistema di governo democratico, le cui fantomatiche attribuzioni, spesso più immaginate che non realmente effettive, vengono fin troppo retoricamente tirate in ballo, ad ogni pie’ sospinto, adoperate come foglia di fico per i capricci di ciascuno. Non immaginavo però che tra queste vi fosse anche la pubblica promozione delle agenzie appartenenti al sistema massmediatico, al fine di concedere alla plebe l’accesso ad una lettura degli eventi non solo scadente e faziosa, ma il più delle volte non corrispondente alla verità. Dietro congruo riconoscimento di pecunia, s’intende. Verrebbe naturale domandare al biondissimo ed accattivantissimo Gianninone, figliolo caro, benedetto il Nome del Signore, quale sarebbe a vostro modo di vedere la “buona informazione”? Quella che porta un laureato in Lettere divenuto non si sa per quale particolare merito l’“esperto economico” del più importante quotidiano nazionale a rimbrottare un esimio accademico con alle spalle più di quarant’anni di studi, ricerche ed insegnamento, incappando peraltro in performances a dir poco barbine? Oppure quella per cui il conflitto siriano è stato raccontato da tutte le principali trasmissioni televisive di approfondimento attraverso una chiave di lettura che definire puerile e grottesca non sarebbe sufficiente per renderne palese l’inattendibilità? O, volendoci spostare sulla carta stampata, quella che ha visto il rilancio compulsivo di una notizia inverosimile, difatti presto smentita, secondo la quale il Governo della Federazione Russa avrebbe condotto a colpi di hackers una determinante ingerenza nelle elezioni politiche italiane che hanno portato al successo Lega e M5S? Sarebbe questa la buona informazione paventata dai dispensatori di falsità? Dio ce ne scampi. E dovremmo anche pagare per fruirne! Come dire, cornuti e mazziati.

Giornali e notiziari televisivi sono i più grandi produttori di notizie false che ci siano. La rete viene accusata di propalare un numero di bufale difficilmente quantificabile, e probabilmente è così. Anzi, non v’è alcun dubbio. C’è però una differenza fondamentale tra questa ed i media tradizionali, ed è la scelta. RCS, Gedi, Mediaset, Rai, Sky Italia e tutti gli altri pezzi da novanta suonano più o meno la stessa musica in tema di informazione, cucinano la medesima minestra, e quella dobbiamo trangugiare. Nell’universo del web si ha invece la possibilità di fare una selezione, operare una cernita, vagliare tutti i documenti disponibili e decidere alla fine di seguire quelli ritenuti maggiormente affidabili.

Sta alla volontà di ciascuno determinare la campana alla quale conferire maggiore attendibilità.

GRV

 

[1] https://www.capital.it/programmi/circo-massimo/puntate/circo-massimo-del-13-09-2018/?fbclid=IwAR0Lulatqdkdgd8KQyRHt0srHxDHkfhdJbUJ9UzCSBtGX5i1nyA6hNewOaE

Quer pasticciaccio brutto del servizio di Giovanni Scifoni per “Le Iene”

Il babilonico mare magnum al cui interno sono raggruppati in diverse macroaree i personaggi che per un verso o per l’altro hanno guadagnato una certa misura di notorietà custodisce, tra gli altri ben più esposti, anche un segmento particolarmente circoscritto, quasi sconosciuto al grande pubblico ed incastrato al buio d’un anfratto seminascosto. Questo singolare raggruppamento raccoglie tra le sue fila quei personaggi che io troverei azzeccato definire “cattolici pubblici”, o “cattolici impegnati”. Principalmente artisti, vale a dire cantanti, attori ed intrattenitori di vario genere, ma anche giornalisti, docenti universitari, professionisti delle più disparate inclinazioni i quali con la sola loro presenza riescono di tanto in tanto a spezzare l’incontrastato dominio di un dibattito culturale profondamente anticristico, in ogni sua manifestazione. Ce n’è per tutti i gusti: intransigenti, aperturisti, progressisti, conservatori, liberali, tradizionalisti e giù a continuare, qualsiasi sfumatura di credente ha la possibilità di fruire del proprio “influencer cattolico” di riferimento. Esistono addirittura delle correnti all’interno delle correnti, come se il Signore stesso non avesse a più riprese fatto notare a noi poveracci quanto la divisione sia l’esercizio che meglio si acchiappa con la figura di Satana – “Diabŏlus”, derivazione latina del termine greco traslitterato in “Diábolos”, “Colui che divide” -, ma questa è un’altra storia.

Tra tutti una posizione di assoluto rilievo è senza dubbio ricoperta dal buon Giovanni Scifoni, affermato ed istrionico caratterista, apprezzato protagonista di interpretazioni cinematografiche, televisive e teatrali, un infaticabile mattatore. Personalmente ebbi modo di ammirarne dal vivo le doti qualche anno fa, mentre in un teatro di periferia si cimentava nel bellissimo “Le ultime sette parole di Cristo”, spettacolo di cui, se non erro, credo vanti la paternità della scrittura. Ne rimasi estasiato, lo trovai sublime. Da allora mi capitò d’incrociarlo a più riprese su Tv2000, sulla Rai e, insomma, m’abituai a considerarlo un personaggio conosciuto, diciamo così.

Questa mia entusiastica predisposizione nei suoi confronti è stata però irrimediabilmente compromessa dal sevizio tramite cui lo Scifoni ha siglato il proprio debutto con “Le Iene”, andato in onda lo scorso 21 Ottobre [1]. A dire il vero, primo motivo di forte sbigottimento è stato per me l’avere appreso quanto il nostro abbia voluto imbarcarsi nella collaborazione con uno show televisivo di tendenze che definire favorevoli alla grande Rivoluzione dissolutoria sarebbe un eufemismo. In merito a questo, però, già odo le facili rimostranze di quanti non condividano tale punto di vista. Il fatto che un individuo a noi affine eserciti in ambienti tanto ostili deve per forza di cose venire considerata un’occorrenza vantaggiosa. Di riffa o di raffa, foss’anche una volta ogni morto di Papa, dovremmo plaudire con favore chiunque riuscisse a portare il messaggio del bene tra i gentili. O no? Staremo a vedere.

Veniamo ora all’oggetto incriminato. Già dal titolo affibbiatogli ben si comprende quale sentiero la produzione abbia deciso di battere. “I leghisti sono dei veri cattolici?”. Dubbio più che amletico, quesito la cui risoluzione si impone con impellente necessità, non c’è che dire. Tant’è, partono le immagini e vediamo Scifoni andarsene a zonzo con il tipico completo da “Reservoir dog” a rimbrottare scherzosamente diversi esponenti della Lega, coadiuvato da un fare canzonatorio dal quale si lascia magistralmente accompagnare. Antonietta Giacometti, Massimiliano Panizzut, Rossano Sasso, Andrea Crippa, Barbara Saltamartini, Luca Toccalini, Riccardo Marchetti, Giuseppe Bellachioma, Cristian Invernizzi, Francesco Zicchieri ed i “pesi massimi” Claudio Borghi, Lorenzo Fontana e Matteo Salvini, tutti passati sotto la scure della Iena novella. L’oggetto delle interpellazioni è rappresentato da una serie di argomentazioni davvero banali nella loro costruzione, ben emblematizzate del sottotitolo del contributo: “La lega che si definisce un partito paladino dei valori cattolici, non ha accolto i migranti salvati nel Mediterraneo”. Devo ammettere di essere stato profondamente turbato dall’utilizzo quasi burlesco che Scifoni ha deciso di fare di alcuni passaggi della Scrittura per fini di carattere meramente cabarettistico. Una lettura surreale del Nuovo Testamento, piegato in questa versione alle contorte logiche del Dogma immigrazionista. Beceraggini, quisquilie e luoghi comuni che davvero non avrei mai immaginato di ascoltare da qualcuno che, pure nella misura a lui confacente, si è a più riprese attestato come prezioso e sincero testimone del messaggio di Cristo.

Alcune delle finezze elargiteci non avrebbero nulla da invidiare alle dabbenaggini abitualmente proferite dal frequentatore medio di uno degli innumerevoli Centri Sociali dislocati sul nostro suolo nazionale. «Gesù era un migrante» – questa me la sarei aspettata dalla Bonino -, «Ma cosa c’è di cattolico in quello che fanno i leghisti coi migranti, per poi arrivare a citare senza alcuna contestualizzazione i Vangeli, l’Apocalisse e le Lettere Paoline: «Lo sa che dice Gesù, a quelli che non accolgono lo straniero? “Fuori da qui, nel fuoco eterno!”. L’inferno!», (Mt 25, 41). «San Paolo dice: “Non c’è né grecogiudeo!”.  Come dire, non c’è né italiano, né eritreo, (Gal 3, 28). «“Ogni volta che non accogliete questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me”», (Mt 25, 45). «“Ero straniero e non mi avete accolto” » (Mt 25, 43). «Una Gerusalemme celeste in cui non ci sono porte e tutti possono entrare, di qualunque nazione» (dedotto, immagino, da Ap 21).

In soldoni, tanto il Signore nei suoi insegnamenti quanto San Paolo e chiunque abbia scritto l’Apocalisse altro non avevano in mente che la ricollocazione nei propri territori d’appartenenza di migranti, profughi e rifugiati politici. Non credo vi sia bisogno di aggiungere chissà quale annotazione.

La Lega, certo per ragioni di calcolo elettorale, ha compiuto una scelta politica ben precisa, cioè rappresentare e fare proprie le istanze riconducibili all’alveo della visione cattolica, soprattutto quelle legate alla dimensione familiare. Possiamo stare a discutere per ore, giorni e settimane circa la legittimità di una tale atteggiamento, dare addosso a Salvini e soci per l’ipocrisia che i detrattori sono convinti eserciterebbero fingendo di mostrarsi affini ad idee e stili di vita che invece nelle proprie faccende private non farebbero altro che calpestare. Ancora, a cinque mesi dall’entrata in carica del Governo Conte è giusto asserire che ci si sarebbe aspettati di più in quanto ad aiuti alle famiglie. Troppo poco, si deve osare maggiormente, sia in termini culturali che eminentemente finanziari. Ma, mi domando, perché c’è questa grande corsa dei media di ispirazione cristiana a dare addosso al Carroccio? Da dove nasce il livore che sacerdotivescovi e laici di una certa importanza nutrono nei confronti della Lega, e più segnatamente di Matteo Salvini? Gli si imputa di avere voluto mostrare Vangelo e Rosario al termine della campagna elettorale poiché, ci ammoniscono i grandi soloni di Famiglia Cristiana, di Avvenire e della Comunità di SantEgidio, la dialettica di Salvini esplicita quanto egli non sia un vero cattolico, non creda, quindi si tratta di un impostore. Sarà, ma a bene vedere,  gli assetti politici post 4 Marzo e l’Esecutivo gialloverde che ne è scaturito hanno avuto quantomeno un merito inconfutabile, addebitabile esclusivamente alla componente leghista: la costituzione di un argine, seppure temporaneo, contro la bestiale deriva antropologica che attraverso le ultime Legislature di centrosinistra è dilagata in Italia con modalità e ritmi preoccupanti. Questo non interessa ai mammasantissima della CEI? Ed a Scifoni? Tale occorrenza non lo coinvolge? E gli altri cattolici impegnati? Cosa ne pensano?

Esiste una nuova Chiesa cattolica, oggi. Una Chiesa cattolica che ha abbandonato, a partire dai suoi vertici, i fondamentali della propria essenza filosofico-dottrinale. Una Chiesa cattolica che si è dimenticata del soprannaturale per avvicinarsi al terreno, una Chiesa cattolica che ha deciso di compiacere il mondo, contravvenendo agli insegnamenti dell’Apostolo Paolo«Non conformatevi a questo mondo» (Rm 12, 2) -, finendo per diventare la caricatura di sé stessa, una scimmia che imita, deformandolo, il volto della Sposa di Cristo. La Chiesa cattolica del XXI secolo si esprime con il linguaggio di un qualsiasi ordinamento giuridico liberaldemocratico, condivide gli assunti della cultura egemone, antepone l’amore alla Verità, si fa portatrice di tematiche infime, che non hanno nulla a che fare con il Divino.

Di rimando, quanti per necessità professionale si vedano impegnati nella collateralità con questo nuovo corso, non potranno che veicolarne la distorsione.

Per concludere, avrei piacere di riportare un breve passaggio tratto da “Il Liberalismo è peccato” (“El liberalismo es pecado”), vergato nel 1884 dal grande apologeta e polemista spagnolo Padre Félix Sardá y Salvany. Il saggio in questione rappresenta un autentico capolavoro della letteratura controrivoluzionaria, filone che oggi sarebbe di grande utilità riscoprire. Credo caschi a fagiolo, come si usa dire, nel tentativo di comprendere la pertinenza tanto della scelta di Scifoni quanto della tendenza che da troppo tempo a questa parte anima la Sede di Pietro.

«[..] L’uomo, massime se di qualche vaglia pel suo talento o per la sua condizione civile, fa molto a favore di qualsiasi idea con solo mostrarsi in relazioni, più o meno benevole, coi fautori di quella. Dà più col tributo della sua rinomanza personale, che se desse denaro, armi, o checché altro materiale d’aiuto. Così, per esempio, un cattolico, massimamente se sacerdote, il quale onori colla sua collaborazione un periodico liberale, chiaramente gli somministra favore col lustro della sua firma, pure se non tolga a difendere la parte mala del periodico, ed anzi ne discordi. Dirassi per avventura che collo scrivervi si ottiene di far udire la voce dabbene a molti che in altro periodico non ascolterebbero altrimenti. Egli è vero: però la firma del dabbenuomo ottiene che facciano buon viso a tal periodico i lettori incapaci di distinguere le dottrine di un redattore da quelle del suo socio; e per siffatta guisa, quello che si pretendeva fosse contrappeso o compensazione del male, torna alla moltitudine in effettiva raccomandazione di esso. Le mille volte lo abbiamo sentito: È cattivo quel periodico? – Ma che! Non è possibile, giacché vi scrive Don tale. Così ragiona il volgo, e volgo siamo quasi la più parte del genere umano. Per disgrazia è frequentissima addì nostri siffatta complicità.».

GRV

 

[1] https://www.iene.mediaset.it/video/scifoni-leghisti-sono-veri-cattolici_205129.shtml