La generazione dei non-uomini

Le caratteristiche essenziali che dovrebbero connotare un uomo degno di definirsi tale sembrano avere definitivamente abbandonato il costrutto midollare della generazione corrente. I rampolli che dovranno adoperarsi per la continuazione del genere umano, in uno spaccato culturale e sociale come quello in cui il nostro pezzo di mondo è incastonato, sembrano davvero non essere più in grado di corrispondere al richiamo di una vocazione tanto alta quanto inderogabile. Come se preferissero rimanere in altre faccende affaccendati o crogiolarsi nel nulla esistenziale di cui sono preda, come se la prospettiva di consumare la propria vita per assicurare una discendenza alla collettività non li stimolasse particolarmente, quasi avessero incombenze più urgenti alle quali prestare attenzione. Per andare dritti al punto, sembra davvero abbiano deliberatamente deciso di abbandonare il ruolo fondamentale assegnatoci dal carattere genetico e biologico di cui siamo in possesso, quello cioè di assolvere il dovere di guida, la funzione, potremmo definirla così, di timone. La conduzione è essenzialmente nostra, ci appartiene, non possiamo delegarla al genere femminile né tantomeno permettere che da esso ci venga sottratta. L’uomo incarna l’autorità, la deve incarnare. Non può esimersene, mai e per nessuna ragione. E le fanciulle? L’universo del gentil sesso com’è combinato? Come si pone all’interno di questo gioco delle parti? Quale atteggiamento decide di tenere nelle nefaste dinamiche che questi nuovi scenari impongono? Con grande rammarico dobbiamo prendere atto di quanto anche la donna si stia ormai defilando dalla principale dimensione per la quale essa è, esiste, quella cioè di moglie e di madre, di principale garante del focolare domestico – volendo qui intendere tale espressione nell’accezione più sacrale tra tutte quelle che essa richiama -, quella Mater che la pragmaticità e la filosofia romana elevarono ad asse portante dell’intera comunità, in un’ottica che non esiterei a definire solenne, in alcuni tratti addirittura liturgica, lontana anni luce dalla snervante e denigratoria retorica – “Domi mansit, lanam fecit” -, alla quale la storiografia ufficiale decise di relegarla.  Storiografia ufficiale nonostante la quale, dal canto nostro, rimaniamo comunque in grado di riconoscere le incomparabili attribuzioni che la donna vede come inconfutabilmente sue, essere prima tutela e protezione dell’intera umanità, gestatrice della vita e sua principale garante. Non sorprenderà scoprire che tutte le statistiche disponibili inerenti quell’efferato atto che è l’omicidio vedano tra i principali fautori di tale gesto un’altissima percentuale di uomini. Questo è del tutto ovvio, perché le viscere più profonde dell’animo muliebre, così legate alla innata proprietà di generazione dell’esistenza, mal si sposano con l’eventualità di sopprimerla. E non potrebbe essere che così. Volendo anche qui trovare un’immagine che si confaccia compiutamente a delle specifiche prerogative, in questo caso quelle femminee, troverei calzante chiamare in causa l’attività svolta dal faro. Ecco qual è sempre stata la mansione per eccellenza della “domina”, colei che mostra la strada da seguire, il cammino da intraprendere. Il faro ed il timone, qualcuno che indichi il tracciato da battere e qualcun altro che si adoperi, vigili affinché il tracciato venga effettivamente battuto. Una combinazione eccellente, completa, totale.

L’uomo e la donna, il marito e la moglie, il padre e la madre. Un connubio che ha tenuto in mano le redini di tutta la genia terrestre dall’alba dei tempi fino nostri giorni, almeno fintantoché tutte e due le componenti siano riuscite a non snaturare ciascuna la propria essenza.

E dopo? Cosa è successo? Perché oggi ci troviamo in una situazione nella quale questo ordine perfetto sembra venire costantemente messo in discussione? Crisi delle coscienze? Declino dei valori? Tramonto delle ideologie? A cosa dobbiamo tutto ciò? Perché  così, tutto d’un colpo, abbiamo la netta impressione che ad un certo punto qualcosa si sia inceppato nello scorrere fluido di questo naturale decorso ed abbia iniziato a procedere con fatica, farraginosamente, abbandonando lo spedito andamento di sempre? La nostra è, innegabilmente, una generazione che viene raccontata attraverso molteplici definizioni, nei confronti di nessuna delle quali a dire la verità mi trovi in particolare disaccordo, da “non impegnata” ad “impaurita”, da “poco avvezza alla fatica” a “non incline alle responsabilità”. Una schiatta degenere, è così che io amo definirla. Procrastinando a data da destinarsi la doverosa analisi sociologica e storico/politica relativa allo stato di cose appena dipinto – analisi di quantomai impellente necessità -, posso provare a gettare lì un paio di considerazioni, che non nascondo di trovare molto convincenti. Nessuno potrà mai dissuadermi dalla certezza che nutro in merito al fatto che questo deterioramento, questa vera e propria involuzione, sia stata volutamente perpetrata attraverso la cosiddetta corruzione dei costumi, formalmente iniziata con l’esperienza del 1968 e la rivoluzione sessuale, ma certamente innestata nel tessuto sociale europeo da ben prima del XX secolo grazie al lavorio inarrestabile di agenti massonici di dubbia origine ed appartenenza. Chi naviga per questi mari ed ha almeno un poco di familiarità con le tematiche che tratto saprà benissimo che questa teoria è ben lungi dall’essere nuova, fiumi di inchiostro sono stati versati per declinarla, esimi intellettuali e storici di fama riconosciuta hanno offerto il loro contributo nello sviscerarla. Per quanti invece arricceranno il naso al solo sentirla affiorare, mi permetto di porre una questione. Il metodo infallibile per mettere alla prova una corrente di pensiero secondo la quale un determinato fenomeno sociale sia stato volontariamente indotto nel corso degli eventi allo scopo di instaurare un nuovo e ben delineato stato di cose, è quello di interrogarsi circa l’effettiva istituzione o meno di una condizione differente rispetto a quella precedentemente in essere una volta terminata l’esperienza oggetto di speculazione. Bene, limitandoci all’Italia, credo che senza eccessive discettazioni potremmo rispondere che sì, effettivamente questo passaggio di consegne c’è stato eccome. Sappiamo bene che quei movimenti, quelle tendenze e quelle rivendicazioni, dopo avere travolto come un ciclone l’opinione pubblica attraverso l’ormai famigerato processo di erudizione delle masse, vennero accolte a furor di popolo in sede politica. Dopodiché, come logico che fosse – come già era scritto che dovesse essere, verrebbe da dire – si tramutarono in irrinunciabili battaglie di civiltà, le quali, come tutte le irrinunciabili battaglie di civiltà che si rispettino, non produssero il benché minimo apporto in termini di miglioramento della vita per quanti le subirono. Anzi. E così, senza che nemmeno ce ne accorgessimo e grazie al fondamentale apporto di importanti uomini di Governo cattolici, riuscimmo come popolo a raggiungere dei traguardi collettivi di rilievo a dir poco vitale, il divorzio e l’interruzione volontaria di gravidanza, ed ottenemmo in un battibaleno la distruzione totale della famiglia.

La famiglia, la benedetta famiglia. Proprio all’interno di questo antico istituto, cellula fondante di ogni società umana, gli individui imparano ad esprimere sé stessi e la loro identità. Fin da piccoli, i fanciulli apprendendo dal padre come si diventa uomini, e la bambine dalla madre come si diventa donne. Tanto è vero quanto sto dicendo che oggi possiamo affermare senza timore di essere smentiti che nella quasi totalità dei casi in cui si sviluppi della confusione in merito all’identità di genere, questo sia dovuto all’esperienza di un rapporto inquinato, conflittuale, con una delle due figure genitoriali. Proviamo ad aggiungere a tutto questo l’attacco sistematico che a livello culturale hanno subito negli ultimi decenni la posizione della paternità prima e della maternità poi, e le frittata è completa. Il “padre padrone”, rappresentato come una figura austera, dispotica, tirannica, un arbitro severo ed intollerante avente l’unico mandato di tarpare la libertà dei figli. Successivamente, dopo avere disintegrato la sua autorità, lo abbiamo umiliato, deriso, privato di autorevolezza, dipinto come qualcuno di cui non v’è bisogno, di cui si fa volentieri a meno. Fuori uno. A seguire è toccato a lei, la gioia di ogni cucciolo, il riparo di tutte le creature indifese, la mammaMercificata, sfruttata, abusata, maledetta. Subordinato il concepimento della prole al successo, alla realizzazione, alla carriera. Cosa sarà mai questo puerile desiderio di votarsi esclusivamente ad una masnada di piccoli sbarbatelli? Reprimiamolo, retaggio di un passato oscurantista e retrogrado. Crescere dei pargoli? Sì, se ci sarà tempo, magari un giorno, quando avrò la possibilità di dedicarmici. E così, ci si sveglia a quarant’anni e ci si accorge che i figli non arrivano più. E fuori due, l’operazione è completa.

Ecco cosa è successo, si sono uccisi il padre e la madre. E di conseguenza, i figli stanno disimparando, piano piano, lentamente quanto inesorabilmente, come si diventa uomini e donne. Impantanati nella banalizzazione della sessualità, obbligati a trasformare ogni desiderio in pretesa, soggiogati dall’imperativo di affermare null’altro che il proprio ego, i giovani di oggi sono portati a non prendere neanche lontanamente in considerazione la prospettiva di rinunciare alla nevrastenica capricciosità che li pervade per spendersi nel massimo ideale possibile, quello di dare la vita per gli altri. Spero fortemente di sbagliarmi, ma ho la netta impressione che quella di cui faccio parte sia destinata a divenire una generazione di non-uomini.

GRV

Qui, gatta ci cova

No, esprimere del disaccordo nei confronti delle politiche di accoglienza che la Commissione Europea vorrebbe imporre agli stati membri dell’Unione non equivale ad essere dei beceri populisti, degli incalliti sostenitori di Matteo Salvini, né degli xenofobi o tantomeno dei razzisti. Né, volendo qui sfatare uno dei luoghi comuni più duri a morire oggi in circolazione, palesare delle remore in merito all’atteggiamento di folle apertura a favore degli incontrollati flussi migratori che imperversano per tutto il vecchio continente andrebbe in qualche modo a cozzare con i dettami che un “buon cristiano” dovrebbe rispettare. Tutt’altro.

Qualche domenica fa, dopo avere pranzato, ho iniziato a girovagare senza meta tra le quattro mura della mia umile dimora cercando un’ispirazione che mi aiutasse a consumare la porzione di pomeriggio rimasta. Non essendosi questa manifestata, ho dovuto decidere di accendere la televisione – pessima idea. Don’t try this at home -, per incappare così in “Quelli che il calcio”, una delle tante trasmissioni che puntando al grande intrattenimento non possono esimersi dal pagare regolarmente dazio alle logiche del politicamente corretto e dello zuccheroso buonismo imperante. A pochi minuti dall’entrata in onda, il noto conduttore Nicola Savino destreggiandosi agevolmente tra le scenografie dello show mi andava ad aprire il primo collegamento della puntata da un centro d’accoglienza del quale, mi perdonerete, ho dimenticato l’esatta localizzazione. Da lì, l’inviato chiamato in causa (tale Digei Angelo), dopo i convenevoli di rito iniziava ad adoperarsi con tutta soavità per presentare una simpatica iniziativa organizzata dagli operatori della struttura. Divisi in squadre secondo la nazionalità di appartenenza, gli ospiti davano vita ad un mini torneo di calcio, con il duplice scopo di agevolare il processo di integrazione che avrebbero dovuto intraprendere ed esercitare della sana attività fisica. Cosa c’è di strano in tutto questo? Apparentemente nulla, a parte il fatto che, andando a memoria, mi sembra di ricordare che di tutti i paesi rappresentati (cinque o sei), neanche la metà siano ad oggi teatro di guerra. Questo può essere un dettaglio più o meno degno di nota a seconda del punto di vista attraverso il quale si cerca di trattare l’argomento. Se è vero infatti che non sono solamente le parentesi belliche incendiatesi nella terra d’origine via via in questione a sancire lo status di rifugiato avente diritto di asilo o di protezione internazionale, è altrettanto innegabile che gli scenari oggi all’attenzione generale doverosamente impongano una riflessione onesta, lineare, scevra da qualsivoglia partigianeria ideologica. Comunque sia, tutto è filato liscio come l’olio, grandi sorrisi ed uno scroscio di applausi hanno accompagnato il resoconto della bella avventura offerta ai telespettatori, ed una dolciastra aura di positività ha sembrato pervadere tutti i presenti in studio. Come se si volesse in qualche maniera convincere il pubblico a casa che progetti come quello poc’anzi finito di illustrare debbano essere considerati non solo lodevoli, encomiabili, ma addirittura necessari, improcrastinabili. Tali operazioni di “irreggimentazione via cavo”, d’altronde, vengono oltremodo facilitate dal senso di inadeguatezza che quasi naturalmente scaturisce in coloro i quali avessero qualcosa da eccepire in merito a quanto rappresentato dalle onde elettromagnetiche. L’hanno fatto vedere sulla Rai! Come potrebbe esserci qualcosa che non va? È il magico mondo della scatola, dove finzione e realtà si fondono, è qui che le coscienze vengono plagiate, che si costruisce la mentalità dei depensanti.

Più o meno negli stessi giorni, mentre per la prima volta Schengen veniva messo seriamente in discussione, Gianfranco Rosi vinceva l’Orso d’oro al Festival di Berlino con il lungometraggio “Fuocoammare”. Non ho ancora visto il film, mi sono però ripromesso di farlo quanto prima. Mi piace molto Rosi, ho imparato ad apprezzarlo soprattutto grazie a quel piccolo capolavoro che è “Sacro GRA”, credo ne valga la pena. La sua ultima fatica è tutta incentrata sugli sbarchi che hanno reso celebre l’Isola di Lampedusa, e sulla funzione di primo approdo che essa svolge per i disperati che da tutta l’Africa o quasi tentano di raggiungere la “Fortezza Europa” solcando il Mediterraneo con delle carrette a dir poco fatiscenti. Neanche a dirlo, all’indomani della premiazione la stampa italiana si è pomposamente lanciata in una rivendicazione di orgoglio patrio per l’eccellente traguardo raggiunto dal nostro abile regista, senza ovviamente mancare di cavalcare la retorica del corridoio umanitario e del ricevimento a tutti i costi. Per quanto mi riguarda, maliziosamente mi permetto di riscontare una lieve coincidenza nel fatto che il più importante riconoscimento cinematografico attribuito in Germania, cuore pulsante e principale fautrice delle linee guida che l’UE impartisce a destra e a manca, venga assegnato ad un’opera che sembra incarnarne perfettamente la visione a lunga gittata in termini politici.

Ho voluto fin qui fare due semplici esempi, riportare solo due indizi, e non intendo andare oltre. Per il proverbiale terzo che andrebbe a determinare la prova, ognuno scelga quel che preferisce, c’è davvero l’imbarazzo della scelta. Dal flash mob solidale che ha portato alcune movie stars internazionali (Charlize Theron su tutte) ad indossare delle coperte isotermiche volendo esternare piena solidarietà ai reietti di tutto il mondo durante una cena di gala, alla ben più grave, atroce, inumana strumentalizzazione che ha visto il corpo innocente del piccolo Aylan, il bambino curdo divenuto tristemente famoso qualche mese addietro, essere spostato dagli scogli in mezzo ai quali le onde del mar Egeo lo avevano trascinato fino alla battigia poco distante, riverso con la testa in direzione dell’orizzonte, adagiato in una posizione che fosse la più compassionevole possibile. Potremmo continuare all’infinito, ma credo non ve sia bisogno, è innegabile che a livello mondiale si stia perpetrando una forte propaganda volta a presentare la massiccia immigrazione che l’Europa sta subendo come qualcosa di inevitabile, alla quale non possiamo opporci, un fenomeno che non possiamo permetterci di mettere in discussione, pena la nostra buona fede, i nostri valori.

Io sono cattolico, aprire le porte di casa al prossimo in stato di necessità è per me un adempimento inderogabile. Dividere il pane con chi non ne ha, anche. Farsi in quattro per i bisognosi, essere disposti ad offrire loro tutto ciò che si possiede, finanche la vita stessa, è un atteggiamento che dovrebbe contraddistinguere tutti i seguaci di Cristo. Ma il Vangelo parla agli uomini, non agli ordinamenti giuridici od alle costruzioni statuali. Per orientare gli indirizzi di tali entità esiste la Dottrina Sociale, figlia diretta del Magistero della Chiesa. Sappiamo infatti che la Regalità del nostro Signore si estende “su tutta la Creazione ed in particolare sulle società umane” (CCC), indi per cui mai considerare come due sfere distinte il Divino Insegnamento e le istituzioni terrene. Inoltre, i beni chiamati in causa da Gesù nelle sue parabole non sempre hanno a che fare con la ricchezza materiale; strumentalizzare quindi taluni singoli ammaestramenti che Egli volle elargirci cercando forzatamente di attribuire loro un valore politico per l’oggi anche quando questo non avesse la minima aderenza con la contestualizzazione originaria di quelle istruzioni è quanto di più deprecabile si possa immaginare. Ed è proprio in virtù di tale occorrenza che sommessamente mi corre l’obbligo di constatare quanto la gestione del fenomeno migratorio così come attuata in Italia abbia ben poco di evangelico, sviluppandosi essa tra il finanziamento più o meno palese del traffico di esseri umani, la connivenza della politica e di qualche alto prelato con organizzazioni criminali indigene ed allogene ed un livello di ospitalità per i migranti che definire disumano sarebbe un eufemismo. Migranti i quali poi nella quasi totalità dei casi si troveranno in condizioni tanto disastrate da rimpiangere la vita condotta prima di lasciare tutto per mettersi in cammino verso l’ignoto. Senza contare che per i più fortunati la prospettiva è quella di rimanere a vivacchiare e tirare a campare nelle strutture messe a disposizione da enti pubblici o privati – attivatisi solo per ricevere i fondi stanziati dal governo centrale -, fino a quando non si saranno stufati e cercheranno di raggiungere i paesi del nord, qualora a quel punto già non siano incorsi nelle maglie della nuova schiavitù. Se in tutto questo vi è qualcosa di cristiano, allora io non lo sono più. Di contro, chi come me ha avuto la fortuna di incontrare nella propria vita dei Maestri nella Fede, saprà che caratteristica peculiare del cristiano è, prima di tutto, il discernimento. La scelta. Essere in grado di riconoscere quale sia la decisione migliore da prendere in un dato momento, soprattutto all’interno di una criticità. Operare una cernita, il più delle volte, è necessario. Lo stesso Benedetto XVI ebbe a dire in un discorso ai membri dell’ANCI nel marzo del 2011 che “Oggi la cittadinanza si colloca, appunto, nel contesto della globalizzazione, che si caratterizza, tra l’altro, per i grandi flussi migratori. Di fronte a questa realtà [..], bisogna saper coniugare solidarietà e rispetto delle leggi, affinché non venga stravolta la convivenza sociale e si tenga conto dei principi di diritto e della tradizione culturale e anche religiosa da cui trae origine la Nazione italiana”[1].

Siamo sicuri del fatto che in un frangente storico come quello che stiamo vivendo non si stia correndo un pericolo più serio di quello che dovrebbe essere consentito? Se nel panorama ricostruito consideriamo il tasso di natalità praticamente vicino allo zero che contraddistingue tutte le nazioni europee (Italia in testa) a fronte della importante tendenza demografica la quale invece caratterizza le etnie che sempre in maggiore misura vanno innestandosi nel nostro “consorzio civile”, ed inquadriamo il tutto all’interno di quella che viene considerata come una delle peggiori crisi economico/finanziarie che si ricordino, ecco che ci si profila davanti un’avvenire che non esito a definire apocalittico.

Vi è una volontà precisa dietro tutto questo, qualcuno che stia indirizzando gli eventi verso un epilogo tanto catastrofico? Io non lo so, credo che in merito si possa pronunciare esclusivamente chi si trovi in possesso degli strumenti per poterlo stabilire. Da parte mia mi limito a prendere atto di quanto tutte le convergenze enumerate compongano un (dis)ordine difficilmente auspicabile.

Qui, gatta ci cova.

GRV

 

[1] https://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2011/march/documents/hf_ben-xvi_spe_20110312_anci.html