Volontà politica, integrazione e propaganda

Agghindato come un gangsta-rapper della East Coast, in posa con aria ammiccante durante una festa, bermuda, infradito e canottiera con alle spalle il mare della riviera romagnola oppure impettito dentro un completo grigio alla Al Capone. Così compare Guerlin Butungu, il capobranco degli stupri di Rimini, nelle numerose immagini reperibili sul web che lo ritraggono. Vent’anni, originario del Congo, questo giovane pioniere di avanguardie evidentemente troppo avanzate per poter essere assorbite da noi rozzi e stanziali autoctoni a quanto pare amava passare le proprie giornate nel trastullo più godereccio. “Quant’è bella giovinezza!”, cantava Lorenzo il Magnifico. D’altronde, in assenza del benché minimo intento d’irreggimentazione da parte delle istituzioni, perché il nostro eroe avrebbe dovuto preoccuparsi di una eventuale fuoriuscita dal seminato che buon senso ed educazione dovrebbero indicare? Di rispetto del Codice Penale o quanto meno delle regole della civile convivenza non se ne parli neppure, giacché la violazione tanto del primo quanto delle seconde sembra non solleticare più di tanto l’interesse dell’autorità giudiziaria, a meno che il caso di specie non intrighi particolarmente il magistrato di turno.

Così, in assenza della reale volontà politica di mettere mano a questo caos primordiale, piegata alla folle logica dell’accoglienza più sregolata l’Italia ha visto crescere negli ultimi anni un esercito di uomini pronti a qualsiasi cosa pur di sbarcare il lunario, disseminati su tutto lo stivale e stipati in ogni agglomerato urbano presente sul territorio, capoluogo di provincia o centro periferico che sia. Con i risultati che tutti, purtroppo, ben conosciamo.

Sradicati infatti dalla propria terra natia e rintontiti dalle infami promesse del sogno europeo questi disgraziati una volta sbarcati dall’altra parte del Mediterraneo non hanno neanche il tempo di realizzare dove siano arrivati che subito debbono sbattere il grugno su una brutale quanto inconfutabile realtà. Il Paese raccontato loro come una sorta di bengodi, come un robusto albero della cuccagna, è in realtà uno dei meno attrezzati in materia di assorbimento dei flussi migratori. «[..] Sono attirati dalla propaganda che dipinge l’Italia e altri paesi europei come l’Eldorado, posti dove risolveranno tutti i problemi, troveranno un lavoro e il benessere. Questo è un aspetto poco considerato, ma come per altre attività redditizie anche il business del traffico di emigranti non aspetta il cliente, se lo va a cercare. E la propaganda è talmente forte ed efficace che i governi, come quelli dell’Etiopia, Tanzania, Mali e Nigeria stanno provando a combatterla con campagne di dissuasione». [1]  Queste sono le parole della Dottoressa Anna Bono, Ricercatore in Storia e istituzioni dell’Africa presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino, riportate da “Il Giornale” in una intervista un po’ datata ma assolutamente illuminante. Ciò che mi permetto di aggiungere è che la propaganda da essa richiamata viene a casa nostra rilanciata e rinvigorita dagli alacerrimi araldi della fratellanza i quali, guarda caso, tali fenomeni sono usi osservarli esclusivamente attraverso le lenti di un binocolo, senza riuscire minimamente a rendersi conto del cataclisma che tali processi innescano nel tessuto connettivo delle aree ospitanti.

Con quale faccia dunque le anime belle dell’intellighenzia al caviale ci propinano le loro interminabili filippiche in merito all’accettazione, all’accoglimento, all’asilo ed all’ospitalità dai salotti buoni della televisione che sono usi frequentare? Non si rendono conto lorsignori di come vadano le cose nel mondo reale? Quale percorso di integrazione porterebbe degli individui allogeni ad inserirsi attivamente nel contesto sociale che li ospita se non si chiede loro alcun impegno, se gli si fa capire che non dovranno affrontare nessuna fatica poiché tutto o quasi gli sarà concesso? Lasciar bighellonare in mezzo alla strada centinaia di migliaia di ragazzoni grandi e grossi, appartenenti ad un retaggio antropologico e culturale a dir poco distante dagli standard di vita europei equivale ad innescare una bomba sociale assi gravida di tragiche conseguenze. Così non aiutiamo queste persone a costruirsi un futuro migliore, tutt’altro. Li instupidiamo, li rendiamo ancor più deboli e meno responsabili, ed allo stesso tempo gettiamo benzina su un fuoco la cui fiamma ha oramai raggiunto un considerevole grado di combustione, esasperando gli animi di una comunità già messa a dura prova dalle proprie questioni interne. A dimostrarlo stanno le statistiche prodotte nelle scorse settimane dai principali quotidiani che attestano come l’incidenza della popolazione di etnia non italiana sul totale dei reati perpetrati nel Bel Paese si riveli a dir poco massiccia.

Oltremodo fastidiosi appaiono poi quei cavilli giuridici per i quali anche una volta colti con le mani nella marmellata gli eventuali rei minorenni non autoctoni, specie se appartenenti a categorie quali quelle dei rifugiati politici, dei richiedenti asilo o di quanti abbiano inoltrato domanda di protezione internazionale divengono di fatto quasi automaticamente di impossibile perseguibilità, come se appartenessero ad una vera e propria specie protetta. Del resto, secondo il “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” del 1998 (D. Lgs. 25 Luglio 1998 n. 286) [2], i minori stranieri non possono essere espulsi, se non per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato – comunque esclusivamente in seguito ad un provvedimento del Tribunale per i minorenni -, né tantomeno possono essere respinti alla frontiera in caso di persecuzione nel Paese di provenienza. Insomma, un bel ginepraio di garanzie costituzionali che rendono praticamente inattuabile l’espulsione dei minori, anche se soggiornanti in condizioni irregolari.

Va da sé che tutto ciò non faccia altro che andare a creare quelle condizioni che appaiono sempre meno sopportabili agli occhi dell’uomo della strada, del tanto vituperato italiano medio, il piccolo imprenditore, il lavoratore dipendete o l’occupato in stato di precarietà che gravato da un regime fiscale criminale e da altre innumerevoli difficoltà deve digerire senza batter ciglio la presenza di questa marea umana cui vengono invece assicurati vitto e alloggio prima ancora che abbiano la possibilità di reclamarli. Come non considerarla una casta di privilegiati? Non si è neanche più liberi di asserire che costoro bivacchino a nostro carico, rendendo così se possibile ancora più odiose vicende come quella di Rimini, dato che ciò porterebbe a doversi difendere dalle accuse di razzismo dei Moni Ovadia e dei Gad Lerner vari. Un vero peccato, poiché la tendenza tipicamente italiana che porta a trasformare qualsiasi argomentazione in una rivendicazione particolaristica fa sì che i grandi temi di cronaca ed attualità non possano essere dibattuti senza sfociare in un estenuante quanto fine a sé stesso esercizio di partigianeria ideologica.

Cerchiamo quindi per un attimo di uscire da questa logica da bar e tentiamo di comprendere come stiano realmente le cose. Il Def [3] presentato lo scorso Aprile dal Governo aveva individuato una spesa da parte delle finanze pubbliche pari a 3,6 miliardi di Euro nell’anno 2016 per le operazioni di soccorso, l’assistenza sanitaria, l’alloggio e l’istruzione di minori non accompagnati, ipotizzando, in uno scenario stazionario, un incremento della stessa voce fino a 4,2 miliardi per il 2017. Qualora invece i flussi avessero continuato a crescere, come i primi mesi dell’anno lasciarono facilmente presagire, si sarebbe addirittura potuti arrivare a toccare quota 4,6 miliardi. Chissà, forse per questo quasi contemporaneamente l’Esecutivo in carica decideva di porre la mozione di fiducia sul cosiddetto “Decreto Minniti Orlando”[4], redatto dal Ministro dell’interno e dal Guardasigilli e contenente “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché misure per il contrasto dell’immigrazione illegale”. Così, “In ragione dell’aumento esponenziale delle domande di protezione internazionale” e “Ritenuta [..] la straordinaria necessità ed urgenza di assicurare al Ministero dell’interno le risorse necessarie per garantire la effettività dell’esecuzione dei provvedimenti di espulsione e allontanamento dei cittadini stranieri in posizione di soggiorno irregolare”, il nuovo corso dell’era Minniti ha finalmente preso il via. Subito, come da copione, si è registrata l’aperta ostilità di liberal-progressisti, enti caritatevoli ed associazioni filantropiche. Sia come sia, tra un accordo sottobanco con i rappresentanti delle varie municipalità libiche ed una stretta alla libertà d’azione delle più arroganti ONG, gli sbarchi sono effettivamente diminuiti, come ci dicono i rapporti ufficiali del Viminale: 23.526 disperati sbarcati a Giugno 2017, 11.459 a Luglio e 1.632 nel primo quarto di Agosto. Nel 2016 erano invece stati registrati 22.339 migranti sbarcati a Giugno, 23.552 a Luglio e 21.294 ad Agosto.

Come dire, volere è potere. Speriamo si continui così.

GRV

 

[1] http://www.ilgiornale.it/news/politica/macch-poveri-e-disperati-questi-sono-falsi-profughi-1165168.html

[2] http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/98286dl.htm

[3] http://www.mef.gov.it/inevidenza/documenti/DOCUMENTO_PROGRAMMATICO_DI_BILANCIO_2016-IT.pdf

[4] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/04/18/17G00059/sg