Gli uomini eleganti leggono libri, non fanno figli

Lo stadio tardoterminale di questa nichilistica società votata anima e corpo all’ultraprogressismo transumanista che sembra avere realizzato ed in alcuni casi addirittura trasceso le peggiori proiezioni distopiche del secolo XX ci offre con cadenza praticamente quotidiana la possibilità di provare un profondo ed inestinguibile disgusto nei confronti delle sempre maggiori bassezze raggiunte dai nuovi paradigmi antropologici di massa.

Religione olocaustica, migrantolatria, pedissequa venerazione nei confronti nel dogma omosessualista, istanze femministe rifilate in ogni pertugio, un antifascismo di regime che sarebbe eufemistico definire violento, fideistico ossequio riconosciuto a qualsivoglia struttura sovranazionale che avanzi aperte rivendicazioni di multietnicità, la ciclica devozione panecologista ed una esasperata, assillante, insopportabile zoofilia, queste sono le colonne portanti che fanno da impalcatura ideale al benemerito agglomerato euroatlantico. Vale a dire, in soldoni, l’Occidente liberalradicale. O radicalliberale. O globalliberale, o radicaleglobalitario, o globalradicalliberale. Insomma, ci siamo intesi. I principi ora enumerati rappresentano infatti una sorta di totemico octologo al quale ogni individuo che voglia essere considerato rispettabile è giocoforza costretto a prostrarsi, pena l’essere additato come qualcuno dal quale convenga prendere delle siderali distanze.

Quanti dovessero sollevare delle obiezioni in merito alla bontà di tali fondamenta vengono infatti automaticamente relegati nell’alveo dei misoneisti, dei reazionari, dei retrivi; e l’ignominia con cui ognuno di costoro sarà costretto a fare i conti risulta ben esplicitata dalla lettera scarlatta che il malcapitato vedrà cucirsi sugli abiti: antisemitismo, razzismo, omofobia, maschilismo tossico, fascismo, sovranismo – qualsiasi cosa si intenda richiamando tale concetto, francamente non l’ho ancora compreso -, l’accusa di essere un inquinatore seriale o qualcuno che abbia in odio i nostri angelici fratelli animali.

L”Omo Salvatico” di papiniana memoria, di cui mi ritengo indegno esemplare, da un simile stato di cose non potrebbe che ricavare una sensazione di forte stordimento, di annichilimento. Neanche compiendo il più impegnativo degli sforzi di fantasia arriverebbe ad immaginare un consorzio civile modellato su questo tipo di angolature. No. Com’è possibile che il genere umano abbia raggiunto un declino tanto rovinoso? Egli avrebbe chiara fin da subito una inconfutabile verità: l’assetto che s’è deciso di adottare sta combattendo una guerra senza quartiere all’ordine naturale.

Niente al pari dell’inverno demografico che attanaglia il primo mondo può fungere come cartina di tornasole del quadro ritratto. Per quanto riguarda l’Italia, poi, se possibile la situazione è addirittura più preoccupante; le statistiche ufficiali periodicamente pubblicate dall’ISTAT non fanno che registrare record negativo su record negativo, inesorabilmente, ogni anno. Ma a destare una certa impressione non sono solamente i freddi numeri, che comunque già di per sé rappresentano un affidabile indice della direzione imboccata, quanto piuttosto la scarsa considerazione nei confronti della tematica di cui fanno mostra opinione pubblica, universo culturale ed istituzioni. Generare della prole sembra essere divenuta un’operazione legata ad un passato arcaico, ancestrale, tribale, che non abbia più di tanto a che fare con il nostro tempo; un argomento da non trattare, del quale provare vergogna, e tutte le dinamiche in qualche modo correlate a questa materia vengono vissute con un’insofferenza che ha dell’incredibile. Nell’immaginario collettivo oramai non v’è quasi alcuna differenza tra l’essere genitori ed accudire delle bestiole addomesticate. Anzi, un gatto od un cane alla lunga si dimostreranno indubbiamente forieri di assai meno problemi rispetto ad un figlio e, soprattutto, non altrettanto dispendiosi dal punto di vista economico. In più, e qui sta uno degli aspetti sui cui maggiormente si batte per implementare una lettura della genitorialità che la dipinga come la più funesta delle condizioni, mettere al mondo dei pargoli costituirebbe il principale ostacolo al perseguimento della realizzazione personale di ciascuno.

Giampiero Mughini è un raffinatissimo intellettuale postsessantottesco, forse un po’ pentito ma non troppo; trovo che incarni perfettamente la disillusione tipica di quei capobastone della cultura italiana abituati ad abbarbicarsi sulle posizioni acquisite per meriti di appartenenza ideologica e da qui sbertucciare le nuove leve, colpevoli agli occhi dei militanti più anziani di non bramare le medesime passioni che contraddistinsero la fatidica generazione dei contestatori, da salotto o da guerriglia che fossero. Intendiamoci, non per questo lo considero un improvvisato signor nessuno, per carità; anzi, ascoltarlo prodursi nelle sue famigerate ed edotte elucubrazioni, per quanto si possa dissentire dai contenuti espressi, spesso regala degli attimi di vera soddisfazione nel groviglio di volgarità ed indecenza cui le principali piattaforme d’intrattenimento ci hanno abituati.

Un altro grande vecchio del giornalismo italiano dalla polemica facile, Vittorio Feltri, solo alcuni giorni fa ne ha voluto incensare la figura omaggiandolo con un pezzo volto a celebrare la capacità di controtendenza del catanese e, soprattutto, la sua apparentemente sterminata sapienza [1]. In effetti, e data la mediocrità dilagante nella quale sguazza il nostro dibattito pubblico questo deve giocoforza essere considerato un particolare meritorio, il riccio ed occhialuto fu Lotta Continua possiede un bagaglio culturale di tutto rispetto, la cui entità viene ben restituita dalla sua biblioteca personale, che talune ricostruzioni asseriscono essere composta da decine di migliaia di libri [2]. Chapeau. Ricordo uno scambio di battute tra lui e Nicola Porro durante una puntata di “Quarta Repubblica” risalente alla vigilia delle ultime regionali nella quale era ospite anche Giorgia Meloni: il conduttore ad un certo punto gli domandò quanti di quei volumi avesse effettivamente letto, dicendosi scherzosamente impressionato dal numero di tomi che si vociferava avesse nel corso della vita fagocitato. Ma egli cordialmente rifiutò di rispondere, perché «Un uomo elegante non lo dice» [3]. Un uomo elegante non fa sfoggio o vanteria del proprio sapere. Be’, come non convenire! Davvero una lodevole manifestazione di equilibrio. L’erudizione, una virtù da coltivare.

Già, ma a quale prezzo?

In un’altra occasione ebbi modo di rimanere colpito da una comparsata televisiva dell’autore siciliano, “Povera Patria”, Rai 2, Aprile 2019. Si parla di aborto volontario, ed Alessandro Giuli domanda ai presenti in studio se sia o meno da considerarsi una pratica alla stregua dell’omicidio. Il nostro, concedendosi una struggente rimembranza decide di condividere pubblicamente un doloroso frangente del proprio vissuto. «È una domanda che io stesso mi faccio, perché sono passato attraverso questa esperienza […] Io ero un ragazzo, lei era una ragazza, e abbiamo fatto quella scelta […] Ma, io penso che sia stato qualcosa del genere […] Che la scelta sia stata atroce, senza alcun dubbio» [4].

Lungi da me anche solo correre il rischio di banalizzare o mancare del dovuto rispetto nei confronti di vicende altrui, soprattutto quando tanto sofferte, ma, se posso, coglierei l’occasione per mettere insieme i pezzi di questa breve narrazione al fine di trarne alcune precise considerazioni. Mughini ha senza dubbio raggiunto un livello di successo invidiabile, gode di una ottima reputazione ed è un uomo affascinante, preparato, dal quale apprendere molto, al di là di come la si pensi in merito ai massimi sistemi. Per sua stessa forse non esplicita ammissione, tale affermazione è stata possibile certo non esclusivamente ma anche grazie alla contingenza di non avere avuto figli. Ora, in tutta coscienza, se potesse tornare indietro, ed alla luce di quanto da egli esternato stando all’ultima citazione riportata, compirebbe la stessa scelta? Sarebbe interessante domandarglielo. Una carriera appagante, anche dovesse essere la maggiormente sfavillante possibile, vale una vita condotta senza figliolanza? O, addirittura, una interruzione volontaria di gravidanza?

Io in merito non avrei dubbi, per mille e più motivi. Credo però possa essere utile rimandare alle parole con cui il Professor Matteo DAmico ha concluso una delle sue appassionatissime ed appassionantissime esposizioni, tenuta durante il “XXV Convegno di Studi Cattolici” organizzato dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X nell’Ottobre del ‘17. «Educare un bambino, in stato di grazia, formarlo, pregare con lui, lentamente, senza fretta, con amore, avere riserve di energia per essere sempre pazienti, è fare cosa più grande che dirigere l’ONU! […] È la cosa più grande che c’è su questa terra! Bisogna tornare a insegnarlo a tutti!» [5].

Chi è genitore lo sa, quando si ha tra le braccia un batuffolo di ciccia intessutosi attraverso elementi ereditati da noi, nulla conta più, niente continua a rivestire il significato fino ad allora attribuitogli; non c’è proposito ambizione che tenga. Spendere la vita e consumare sé stessi, come una candela che bruci, nell’accudimento della propria progenie, dedicarsi a null’altro che incarnare una certezza, un porto sicuro, un modello da seguire per i figli affidatici dalla Provvidenza, be’, questo vale più che tutte le ricchezze della terra.

Forse che se il caro Mughini avesse incontrato sul proprio cammino un Testimone della Fede tanto credibile da fargli rimodulare i convincimenti professati, le cose per lui sarebbe andate diversamente? Forse che l’abbia incontrato, e pur nonostante questo non lo volle ascoltare? Non lo sappiamo. Ma il Prof. DAmico ha ragione, una delle necessità più impellenti che abbiamo è quella di riportare all’attenzione del mondo la bellezza della famiglia, sopra ogni cosa, valicando gli sterili luoghi comuni che oggi vorrebbero relegarla ad istituzione non all’altezza dei tempi.

Ne va del nostro futuro, del nostro destino, della nostra identità.

Vedremo chi la spunterà, se a sopravvivere nei prossimi decisivi decenni saranno quelle che vengono definite le nuove formazioni sociali, oppure al contrario la cellula da sempre considerata cardine della comunità per eccellenza, che Aristotele definiva imprescindibile fulcro per ogni pur minimo agglomerato umano: padre, madre, prole.

Con l’aiuto di Dio, la storia non potrà che darci ragione.

GRV

 

[1] https://www.liberoquotidiano.it/news/commenti-e-opinioni/26018791/vittorio-feltri-giampiero-mughini-intellettuale-eretico-frusta-se-stesso-pochezza-compagni.html

[2] https://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/versione-mughini-ndash-quot-che-bella-lettera-scritta-193454.htm

[3] https://www.youtube.com/watch?v=7eRIxMkWXA4

[4] https://www.youtube.com/watch?v=jgso9oIm4-4

[5] https://www.youtube.com/watch?v=dZ23biSstQ8