Di Battista ha ragione, i giornalisti italiani sono delle grandissime puttane

Non esiste categoria maggiormente autoreferenziale, tronfia, fatua, vanesia, piena di sé. Arroganti, sgradevoli, spocchiosi, a tratti insopportabili. Quante volte li abbiamo ascoltati erudirci in merito al fatto che mettere in discussione l’operato da essi svolto equivarrebbe ad esercitare della violenza? Ammonire chiunque si fosse azzardato a metterne in dubbio le ricostruzioni? O addirittura minacciare con immotivata aggressività quelle vittime dei loro dileggi che avessero osato difendersi? Per non parlare poi della colpa più grande di cui si macchiano senza il minimo ripensamento, vale a dire la sistematica mistificazione della realtà. Sì, i giornalisti italiani sono delle grandissime puttane. Dirò di più, se io fossi una meretrice troverei profondamente offensivo esser loro paragonato. M’indignerei.

Non ho alcuna intenzione di entrare nella disputa che intercorre tra i grillini e la stampa italiana, o nella questione inerente il processo istituito ai danni di Virginia Raggi che l’ha, di fatto, originata. Ancora meno mi interessa, in questo caso, evitare di cedere all’errore nel quale gli esseri umani incappano più frequentemente, e cioè la generalizzazione. Sì sì, per carità, lo sappiamo, i giornalisti non sono tutti uguali. Così come non sono tutti uguali tra di loro i panettieri, gli idraulici o le massaie. Perfetto, abbiamo in tal modo adempiuto al compitino quotidiano impostoci dal nuovo codice di comportamento rispondente ai dettami del politicamente corretto. Oggi però voglio avere la libertà di abbandonarmi ad un poco di superficialità, e fare di tutta l’erba un fascio.

Anche io, come Di Battista, potrei senza tanti problemi stilare una lista nella quale enumerare i nomi di reporter, corrispondenti, cronisti ed opinionisti che seguo quotidianamente, con avidità e sincera ammirazione, perché sono dei professionisti esemplari, preparati e, attitudine forse addirittura più importante, intellettualmente onesti. A fronte di ciò però mi vedo costretto ad una constatazione che ritengo difficilmente confutabile. Non tutti abbiamo la possibilità di approfondire con dovizia e rigore la comprensione degli accadimenti che giorno dopo giorno interessano il globo, utilizzando strumenti idonei per cogliere la portata delle trasformazioni sociali ed economiche in essere, facendo ricorso ad una gamma di fonti particolarmente variegata. Questa è materia per gli addetti ai lavori, la maggior parte di noi non può far altro che cercare di stare sul pezzo quasi esclusivamente tramite la fruizione di giornali e televisione. E qui casca l’asino. Non credo sia necessario stare ad esplicare quali siano le dinamiche legate ai vari interessi di consorteria che indirizzano le tendenze di questo o quel quotidiano, di tale o talaltro spazio di analisi sul piccolo schermo, sarebbe sufficiente considerare le connessioni esistenti tra grandi gruppi editoriali, mercato delle telecomunicazioni, aggregazioni industriali e segmenti del mondo finanziario e bancario. Dunque, qualcuno davvero sarebbe disposto a credere che quanti scrivano per le principali testate nazionali o si esprimano sulle reti commerciali con maggiore audience siano esenti dai rispettivi richiami di scuderia?

Inoltre, come se ciò non bastasse, qualora ci si azzardi ad avanzare delle perplessità circa l’indipendenza professionale di costoro le obiezioni che essi presentano a propria difesa vanno a pescare nel torbido di una retorica che sul pubblico uditorio vanta sempre una certa presa. L’appello a formulazioni quali “cani da guardia del potere”, “sentinelle del pluralismo”, “custodi della libera espressione” ed altre simili amenità fa sì che alla fin fine i nostri riescano sempre a sfangarla, impersonando un vittimismo a dir poco pietoso quando vengono messi di fronte alle responsabilità che su di essi gravano. È in questi casi che parte il micidiale pistolotto avente come contenuto un’argomentazione volta a celebrare la funzione sociale coperta dall’attività giornalistica, che sembrerebbe essere secondo questa vulgata la quintessenza dell’integrità, professionale ed umana, la massima altezza che l’homo sapiens possa raggiungere. Personalmente posseggo una scala di valori diametralmente opposta.

Qualche settimana fa, durante una puntata di “Circo Massimo” [1], il programma condotto da Massimo Giannini su Radio Capital, mentre si discuteva della riforma inerente la direttiva europea sulla difesa dei diritti d’autore la penna più nota di “la Repubblica” ebbe a sentenziare che «L’informazione deve costare, una buona informazione deve costare. Anche questo è a tutela della Democrazia». Ora, io ho da tempo deciso di sposare quel filone ideale che il Professore Domenico Fisichella ha pensato di raccogliere sotto la dicitura “Le ragioni del torto”, cioè, in soldoni, un impianto fortemente critico verso il sistema di governo democratico, le cui fantomatiche attribuzioni, spesso più immaginate che non realmente effettive, vengono fin troppo retoricamente tirate in ballo, ad ogni pie’ sospinto, adoperate come foglia di fico per i capricci di ciascuno. Non immaginavo però che tra queste vi fosse anche la pubblica promozione delle agenzie appartenenti al sistema massmediatico, al fine di concedere alla plebe l’accesso ad una lettura degli eventi non solo scadente e faziosa, ma il più delle volte non corrispondente alla verità. Dietro congruo riconoscimento di pecunia, s’intende. Verrebbe naturale domandare al biondissimo ed accattivantissimo Gianninone, figliolo caro, benedetto il Nome del Signore, quale sarebbe a vostro modo di vedere la “buona informazione”? Quella che porta un laureato in Lettere divenuto non si sa per quale particolare merito l’“esperto economico” del più importante quotidiano nazionale a rimbrottare un esimio accademico con alle spalle più di quarant’anni di studi, ricerche ed insegnamento, incappando peraltro in performances a dir poco barbine? Oppure quella per cui il conflitto siriano è stato raccontato da tutte le principali trasmissioni televisive di approfondimento attraverso una chiave di lettura che definire puerile e grottesca non sarebbe sufficiente per renderne palese l’inattendibilità? O, volendoci spostare sulla carta stampata, quella che ha visto il rilancio compulsivo di una notizia inverosimile, difatti presto smentita, secondo la quale il Governo della Federazione Russa avrebbe condotto a colpi di hackers una determinante ingerenza nelle elezioni politiche italiane che hanno portato al successo Lega e M5S? Sarebbe questa la buona informazione paventata dai dispensatori di falsità? Dio ce ne scampi. E dovremmo anche pagare per fruirne! Come dire, cornuti e mazziati.

Giornali e notiziari televisivi sono i più grandi produttori di notizie false che ci siano. La rete viene accusata di propalare un numero di bufale difficilmente quantificabile, e probabilmente è così. Anzi, non v’è alcun dubbio. C’è però una differenza fondamentale tra questa ed i media tradizionali, ed è la scelta. RCS, Gedi, Mediaset, Rai, Sky Italia e tutti gli altri pezzi da novanta suonano più o meno la stessa musica in tema di informazione, cucinano la medesima minestra, e quella dobbiamo trangugiare. Nell’universo del web si ha invece la possibilità di fare una selezione, operare una cernita, vagliare tutti i documenti disponibili e decidere alla fine di seguire quelli ritenuti maggiormente affidabili.

Sta alla volontà di ciascuno determinare la campana alla quale conferire maggiore attendibilità.

GRV

 

[1] https://www.capital.it/programmi/circo-massimo/puntate/circo-massimo-del-13-09-2018/?fbclid=IwAR0Lulatqdkdgd8KQyRHt0srHxDHkfhdJbUJ9UzCSBtGX5i1nyA6hNewOaE

2 pensieri riguardo “Di Battista ha ragione, i giornalisti italiani sono delle grandissime puttane”

  1. Il titolo, prende spunto da una frase di Indro Montanelli che definì lui stesso ed i suoi colleghi come delle vere e proprie puttane.
    Indro Montanelli, Giano Accame, Biagio Agnes – ma ne potrei citare centinaia di nomi -, furono giornalisti di un certo peso, anche e soprattutto politico, ma mai gli apostoli della verità assoluta. Eppure, essi si ricordano.
    Quanti di noi invece ricorderanno in un prossimo futuro, quelle mezze figure attoriali che si reputano essere “i grandi giornalisti del XXI Secolo”, che la politica reputa tali essendo i propri leccapiedi?
    Chiediamocelo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *